La Cenerentola di Emma Dante: tagliente e riuscita fra canto, ragione e un abito nero

La Cenerentola di Emma Dante (photo: ® Yasuko Kageyama /TOR)
La Cenerentola di Emma Dante (photo: ® Yasuko Kageyama /TOR)

Stiano pur tranquilli tutti! La “Cenerentola” di Emma Dante piacerà persino ai tradizionalisti. È allegra ma non dissacrante. Cattiva ma non feroce. Contemporanea ma “italiana”. Tutta sulla musica. Fila, regge a meraviglia, è divertente. Nessuna “forzatura”, la musica vince e traina la messinscena – non mancano neppure garbate citazioni dal vecchio film di Ponnelle, qualche gag e la ‘mise’ nera e persino un po’ tetra per la misteriosa “dama velata”, cioè Cenerentola stessa nella scena del ballo.

Innegabilmente funziona anche il cast vocale: Serena Malfi nel ruolo del titolo non perde una nota o un passo, la voce giunge diritta e corposa fin sul loggione, le agilità sono snocciolate senza timidezze né incertezze; Vito Priante e Alessandro Corbelli come Dandini e Don Magnifico sono garanzie ormai assodate di resa scenica e vocale, e le due sorellastre di Damiana Mizzi e Annunziata Vestri forniscono gran parte del carburante per l’inarrestabile macchina scenica della regia.

Funziona e regge come il perfetto correre delle lancette di un orologio. E la metafora non è troppo peregrina, per due ragioni almeno.
La prima: è già la capacità razionalista e razionalizzante del compositore pesarese a riordinare pensieri contrastanti e a portare alla convivenza degli opposti nel magico contenitore del concertato, in cui con una fiducia ancora tutta illuminista si regola la convivenza di istanze diverse. La si regola in senso verticale – la sovrapposizione delle voci – ma in ordine a un senso orizzontale, che è quello guidato temporalmente dalla musica, che non conosce soste.

La seconda: il meccanismo della scena – quella della Dante – è così perfettamente congegnato che a quell’idea di implacabile ma ordinato incedere sembra ispirarsi. Non vi è sosta sul palco, è sempre in trasformazione, sempre pullulante di umani grotteschi e di automi gentili, alter ego dei protagonisti, che ne interpretano ora i desideri, ora le frustrazioni, ora ne incarnano le molteplici tensioni affettive, ora semplicemente sono amplificatori di un sentire forte che chiede spazio.

Spazio scenico, in particolare. Sempre muniti, gli automi, di una grande chiave a farfalla sulle spalle, evocatrice degli uomini meccanici tanto amati dal Settecento europeo – orologi anch’essi, in un certo senso da caricare a molla, come l’Olympia di Offenbach. Ma orologi “buoni”, niente a che vedere con le rotelle di un processo produttivo incontrollabile che disumanizza e uccide. Buoni e mitigati da una loro logica interna, amici, come quello che la protagonista ha in vita, come quello che segnerà l’ora per il ritorno alla casa paterna, a fine ballo – ma in Rossini nessun rintocco di mezzanotte viene a interrompere la festa.

La storia è arcinota, ed è una delle fiabe più antiche, se ne danno versioni anche orientali, e poi Charles Perrault, i Grimm, Basile e decine di altri (non ultimo Prokof’ev) ne hanno prodotto la propria lettura.

Quella del libretto di Jacopo Ferretti, che Rossini intona e mette in scena al Teatro Valle di Roma 199 anni fa – era il 25 gennaio – si basa sulla versione più “moralista” di Perrault. Con una variante, oltre a quelle, consustanziali a un’opera buffa, di travestimenti e svelamenti: uno “smaniglio” prende il posto della scarpina di vetro, per evitare ad Angelina/Cenerentola di dover mostrare, in teatro, un piedino, alla prova del riconoscimento finale. Ma la Dante se ne infischia ironicamente e del bracciale farà… una cavigliera!

Sopra un palco, nei toni del candido panna e del pastello, poco più di qualche poltrona, un letto, dei paraventi impero specchiati, un ‘confident’, una candida carrozza, un tulle all’occorrenza: il tutto è portato a vista e sgombrato quando inutile, sullo sfondo di una parete d’interno, bianca, che scivola di qualche metro indietro quando c’è necessità di più spazio.
Insomma, poca scenografia (firmata da Carmine Maringola) e molto di umano, o quasi: quegli automi, il coro e i figuranti-danzatori, feroci nel ruolo delle pretendenti alla mano del principe che, all’arrivo di Cenerentola velata, disperati per il consenso che suscita negli ospiti si sparano una dopo l’altra in un crescendo grottesco. Come marionette si afflosciano una volta assorbito il colpo. E di nuovo tutto si regge sull’ambiguità o, meglio, sulla sobria, serena distinzione dell’umano e del meccanico.
Finché, infine, il perdono, come Perrault insegna con l’ingresso a palazzo concesso alle terribili sorellastre e un patrigno insieme violento e penoso. Ai quali vengono poste… tre chiavi a farfalla sulla schiena.

La tanto buona Cenerentola, dunque, “La bontà in trionfo”, come recita il sottotitolo, farà di essi… suoi servitori? Suoi automi personali, atti a vegetare e sferragliare su un piano inferiore? La sua bontà è dunque questo, trasfigurata? Una volta trionfante si svelerà sopraffazione? Questo significava, a questo preparava quell’abito nero, unico fra tutti?
E la cattiveria, l’odio, erano quelle forme umane, vive, forse? Non la purezza senza screziature della buona Angelina.
Implacabile, armata della sua bontà come di un machete, ha attraversato l’opera quasi senza che ce ne accorgessimo; arrivata puntuale all’aria finale chiude i giochi, senza titubanze, in trono.
Stiano pur tranquilli tutti…
In scena ancora il 12 e 19 febbraio.

La Cenerentola
Musica di Gioachino Rossini
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Jacopo Ferretti basato sul libretto francese
di Etienne per la Cendrillon di Isouard
Direttore Alejo Pérez
Regia Emma Dante
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Movimenti coreografici Manuela Lo Sicco
Luci Cristian Zucaro

Interpreti principali:
Don Ramiro Juan Francisco Gatell /
Giorgio Misseri 23, 27, 29, 12, 19
Dandini Vito Priante /
Giorgio Caoduro 23, 26, 29 /
Filippo Fontana 12, 19
Don Magnifico Alessandro Corbelli /
Carlo Lepore 23, 27, 29
Clorinda Damiana Mizzi
Tisbe Annunziata Vestri
Angelina Serena Malfi /
Josè Maria Lo Monaco 23, 27, 29, 19
Alidoro Ugo Guagliardo /
Marko Mimica 23, 24, 26, 28, 29

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera

durata: 3h (con intervallo)
applausi del pubblico: 4′

Visto a Roma, Teatro dell’Opera, il 28 gennaio 2016

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1 Comments

  1. says: Matteo

    Lo vista alla televisione, a me non sono piaciuti le scenografie i costumi e le luci…brutto spettacolo!

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