Intercetto la mia anima
Schierandomi esattamente al centro
Della mia età
(da “La Cerimonia” di Oscar De Summa)
La sala si accende nel cubo in cui è definito lo spazio di fronte a noi. La luce arriva dalle tre pareti coperte di carta color avorio; retroilluminate, manifestano venature che sembrano respirare.
C’è una pedana, in fondo alla sala; sopra c’è un tavolo. Due sagome sedute ai lati, altre due frontali alla platea. Si muovono, e nelle loro movenze, che ripeteranno e amplificheranno sul finale, appaiono personaggi di un quadro rinascimentale.
Prende la parola quella che ci pare un’adolescente, e che la narrazione della storia ci confermerà tale: Edi.
Edi ci dice che è tutto pronto per la cena che lei chiama di “Fine Millennio”. Ma prima, per permetterci di capire, prepararci ad essa, dovremo fare un passo indietro.
Skin degli Skunk Anansie canta feroce.
Le due sagome ai lati si animano, alzandosi dalle sedie e ponendosi nello spazio antistante al pubblico: la madre e il padre litigano, mettendo l’accento sul loro (non) ruolo, su quello che non hanno ancora imparato a fare e a dire in quanto genitori.
Nel frattempo la parete davanti ai nostri occhi si è animata: si accendono frasi, parole che sono frammenti di poesia, di intima verità. Citando a memoria: “La felicità non è reale se non è condivisa”. “Tutti i miei fantasmi sono loro vita”. “Io non ho più guerra tra le dita. Tutti i loro fantasmi sono loro vita”.
È questo l’inizio de “La Cerimonia”, nuovo spettacolo di Oscar De Summa che rivisita il mito di Edipo. Visto al Fabbrichino di Prato, produzione del Metastasio, ha debuttato il 24 marzo e rimarrà in scena fino al 9 aprile, per poi tornare a scalpitare i suoi passi decisi il 3 giugno a Primavera dei Teatri, a Castrovillari.
La struttura dello spettacolo è quella delineata: gli attori si collocano in una quieta veglia seduti al tavolo, in attesa di animarsi e scattare nei quadri d’azione; prendono una sedia e si siedono, pronti ad ascoltare o a confessare.
Edi è una ragazza normale con una vita normale; senza nessuna strana compagnia, “galleggia dolcemente sulla superficie della vita”, ma priva di passioni, senza sentirsi realmente attratta da nulla, svelandosi quindi come “una hikikomori che si ritira dalla vita ancora prima di averla sperimentata”.
E questo perché, riflette De Summa, “avere tutte le possibilità corrisponde a non averne nessuna se non vi è una regola, un limite, un proibito che definisce il contorno della scoperta e del superamento, che sprigiona l’adrenalina proprio in questo superamento, che ci rivela nella ricerca, proprio perché ci obbliga ad andare oltre il conosciuto, e mettendoci in gioco ci rivela a noi stessi”.
Ecco allora il legame con Edipo, perché questo limite – da sempre – è rappresentato dalla figura del padre. Una figura, e un ruolo, che oggi sembra aver perso questa fondamentale consapevolezza, rivelandosi – in contrapposizione a una maggior presenza fisica – come un’assenza: “Diventando non più la legge ma l’amico del figlio, il padre ha negato al figlio la sacrosanta ribellione generatrice dell’identità. Così tutto resta uguale a tutto e allora non c’è più motivo di scegliere, non c’è più desiderio, non c’è più quella passione che sa sempre portarci oltre noi stessi nel paradosso fondante della perdita che stabilisce l’identità”.
Le parole vergate da De Summa sul fondale incorniciano la scena e volano alte nella suggestione creata dall’esser dette, dal prendere forma, nello svaporare sulla parete – qui schermo emotivo -, echi che si amplificano, si duplicano nel recitato per poi quasi congelarsi in una verità che pare in attesa d’essere pronunciata, mentre tutto perde di senso e lo riacquista, in una narrazione inframezzata da flash surreali, alla David Lynch.
Le musiche sono un altro momento fondamentale dello spettacolo: formano una colonna sonora che si può trovare quasi nella sua interezza su YouTube. De Summa, sottolineandone l’importanza narrativa e strutturale, ha caricato sul suo profilo quasi tutte le canzoni, lasciandone fuori alcune, come quella finale, che appena ascoltata sorprende nella sua intima e dolorosa necessità di festa. Tutte definiranno la (non) epoca in cui si collocherà il (non) luogo narrativo in cui si dipana l’azione, che esplode in momenti comici, drammatici, fino ad arrivare al ballo in stile musical.
Sembra un cabaret da fine millennio, quello che traccia De Summa con i suoi eccellenti e generosi attori: la volontà è quella di andare alle radici del problema, la perdita da parte dei giovani di una figura paterna di riferimento, e quindi di un’identità. Sintomo di una condizione di tradimento: quando abbiamo smesso di essere padri, di cercare i nostri padri, sostituendoli con surrogati di facile e capriccioso deterioramento? Quando siamo diventati Perfetti Sconosciuti?
Uno zio che si annuncia lottatore, uomo tigre, entra pronto a dispensare consigli, ad ascoltare, incitare, affinché non si lasci andare la propria intimità. Incita Edi in modo furioso, rabbioso: dì cosa vuoi davvero! Perché se non se ne ha consapevolezza, saranno altri ad innestare i nostri desideri, “a mettercela nel culo”.
Durerà un’ora e mezza questo flusso di coscienza, i cui attori esatti sono Marina Occhionero, Edi(po), la figlia, l’adolescente; Vanessa Korn, Gio(casta), la madre nevrotizzata dagli eventi; Marco Manfredi, Laio, il padre che chiede finalmente perdono, perché si è (ed ha) raccontato da sempre una menzogna; e lo stesso De Summa, Ti(g)re(sia), lo zio, punto di riferimento, guida spirituale, folle come tutti coloro che stavano per non tornare indietro a questa vita, ma che il destino ha preso per i capelli, strappandoli alla morte.
Alle porte la vera fine di un millennio: il Ventesimo secolo, in attesa che si spalanchino le porte del Ventunesimo; unica verità la paura, della fine, del non ritorno, del Millenium Bug…
“Si buttano parole agli uomini come si buttano ossa ai cani, poi si aspetta che si sbranino”.
La Cerimonia cercherà di ridefinire una verità, quella personale dei singoli individui che si trovano a confondere le carte in questa partita con se stessi, in cui si bluffa per non dover ammettere quella verità che – solo di fronte allo spauracchio dell’inevitabile – sarà detta, ammessa, dopo di che l’unica cosa ammissibile sarà il silenzio.
“Cos’è che ci muove, che ci fa scegliere, che ci fa andare verso qualcosa o qualcuno, nonostante noi?” si (e ci) chiede De Summa.
La memoria corre al 2008, quando lo conobbi a Roma, al compianto spazio del Rialto Santambrogio. In quel caso in scena De Summa parlava, da solo, la lingua del Riccardo III di Shakespeare e del potere che logora chi non ce l’ha. All’orizzonte editoriale, in uscita nel 2009, il libro poetico-teatrale “Selfportrait” per Minimum Fax. Già a quei tempi confidava che “il filo conduttore delle mie opere è osservare come in questo mondo, in modo subdolo, ci stiano costruendo addosso i sogni da seguire, annullando noi stessi. Ci viene tolta l’ambizione della pagina bianca del poeta che deve essere riempita dalla sua creatività. Abbiamo la responsabilità di essere degli individui”.
“Le cose hanno iniziato a cambiare, quando nell’indifferenza si è creata una fessura, una crepa, e da lì ha iniziato a filtrare luce”, volano le parole di De Summa sullo schermo.
Nel chiudersi, lo spettacolo fa esplodere la bellezza dell’ultima canzone, in tutta la sua urgenza. La crepa evocata si è creata anche nel cuore degli spettatori, e da lì filtra la luce che li fa applaudire in un lungo, commosso, tributo, capace forse di aiutarci ad ammettere che abbiamo perso di vista la nostra personale adolescenza.
Cosa vuoi, Edi? E noi, cosa vogliamo davvero?
LA CERIMONIA
di Oscar De Summa
regia Oscar De Summa
con Oscar De Summa, Vanessa Korn, Marco Manfredi, Marina Occhionero
scenografo e costumista Lorenzo Banci
luci Roberto Innocenti
produzione Teatro Metastasio di Prato
durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 3′ 30”
Visto a Prato, Teatro Fabbrichino, il 26 marzo 2017
Prima nazionale