Tramandati nell’antichità oralmente, i miti sono stati nel tempo trasformati e spesso adulterati. Passando di bocca in bocca da un cantore all’altro, anche i miti dell’antica Grecia, che più di tutti colpiscono il nostro immaginario e sono impressi nella nostra memoria, hanno dato origine a molte versioni. Ad esempio, fu Teseo a tradire Arianna abbandonandola su un’isola (come racconta Ovidio) oppure fu Dioniso a invaghirsi di lei e a rapirla, con disperazione di Teseo (come riporta lo Pseudo-Apollodoro)?
Come plastilina, il mito si lascia modellare dalla sensibilità di chi lo raccoglie, narratore o ascoltatore che sia, interpretandone necessità e urgenze. Proprio per questa sua mutevolezza nel tempo e nello spazio, il mito è rappresentativo dell’essenza più profonda dell’arte.
La trasmissione orale influì sull’evoluzione dei miti prima che fossero cristallizzati dalla scrittura. Per molto tempo essi mantennero dunque una forma aperta. Il cantore aveva facoltà di manipolarli, aggiungendo personaggi, cambiando ambientazione e dettagli, perfino capovolgendone epilogo e morale.
Amare un mito può significare traslarlo nella propria epoca, scrollandone la stantia aura museale. Ricondurre i miti all’attualità, sviscerando nuovi archetipi, è operazione su cui si focalizza Teatro dei Borgia, compagnia barlettana fondata dal regista e autore Gianpiero Alighiero Borgia e codiretta con Elena Cotugno, attrice e autrice.
Dal 2017 Teatro dei Borgia, con il progetto intitolato “Il Trasporto dei Miti”, istituisce confronti tra i classici e la contemporaneità. Il progetto – spiega Gianpiero Borgia – si articola in tre fasi: «Costruire un’analogia tra un personaggio della mitologia classica e un suo corrispettivo della contemporaneità urbana; individuare un tema socio-politico attuale da approfondire preparando lo spettacolo attraverso esperienze sul campo compiute dagli artisti (interviste, esperienze di volontariato, contatti con realtà istituzionali e associative che lavorano nel sociale); realizzare una performance di teatro d’arte che rompa il meccanismo scena/platea cercando ambiti alternativi alla poltrona, catapultando ad esempio lo spettatore in una mensa per poveri o su un pulmino».
Con la drammaturgia di Fabrizio Sinisi, i Borgia hanno rivisitato tre classici della tragedia greca. “Medea per strada” (da Euripide, con Elena Cotugno, allestimento Filippo Sarcinelli) è un’esperienza immersiva nel mondo della prostituzione; “Filottete dimenticato” (da Sofocle, con Daniele Nuccetelli, consulenza clinica Laura Bonanni) tratta dell’abbandono familiare in seguito a una malattia neurodegenerativa; “Eracle l’invisibile” (da Euripide, con Christian Di Domenico, consulenza sociologica Domenico Bizzarro) affronta il tema del fallimento di fronte a vicissitudini di natura familiare ed economica: un matrimonio a pezzi avvia il declino di un uomo, fino alla condizione di senzatetto.
Il progetto, presentato in anteprima a Brescia (settembre 2020) e a Bari (ottobre 2020), è già una trilogia intitolata “La Città dei Miti”.
«Non portare il tragico del reale nel teatro, ma la luce del teatro tragico nel reale»: è questa la massima di Gianpiero Borgia. Che rappresenta la propria poetica come un triangolo scaleno, capace di coniugare verticalità e profondità.
Il punto di partenza è la tragedia, per la ricchezza e l’ambiguità di valori cui fa riferimento, per la compresenza di contemplazione razionale sublimante, immersione partecipata, superamento dei conflitti, enucleazione delle contraddizioni. L’obiettivo è scuotere lo spettatore, seminando dubbi e tracciando segni.
«Lo stile narrativo – spiega Elena Cotugno – parte dal metodo Stanislavskij: mira all’approfondimento psicologico e ricerca tutte le possibili identità tra il mondo interiore del personaggio stesso e quello dell’attore». Prima di ciò, l’attore diventa reporter: fa ricerca-azione; scandaglia la realtà.
Il Teatro dei Borgia nasce dal contatto con cooperative, operatori sociali, psicologi, centri d’accoglienza, onlus, centri di ascolto, mense dei poveri, Rsa, comunità alloggio, centri diurni per anziani con disturbi cognitivi. Affonda nelle fragilità umane. Rasenta e spesso oltrepassa le soglie del degrado. Sdogana un’energia primigenia, una sorta di naturale e bizzarra eticità capace di arginare l’epidemia dei valori borghesi. Non si arrende all’indifferenza e denuncia – senza ergersi a teatro sociale o civile – disagi e schiavitù di vario tipo: sessuale, economica, sociale.
Gianpiero Borgia si allontana dal narratore onnisciente che snocciola diagnosi e terapie; si limita a seguire le incerte vicende di figure che vivono ai margini della società, con un’arte tra denuncia e fascinazione.
La trilogia unisce la presa diretta su una realtà di caustica evidenza alla raffinata rivisitazione del romanzo picaresco. Accumula, con apparente disordine, spezzoni narrativi impilati uno sull’altro.
La tragedia e il sarcasmo, la sbruffonata e il sobbalzo di timidezza, la spavalderia e la rassegnazione appaiono così, nell’espressività luminosa di un linguaggio fresco, rutilante, come tratti durevoli di un collettivo destino di sconfitta: un destino forse marchiato da una Storia che non sa concedere cittadinanza alla felicità dimessa degli ingenui.
Medea, Filottete ed Eracle non sono tanto dei personaggi. Sono piuttosto un coro che insinua nuovi dubbi nelle coscienze di spettatori che non si rassegnano alle rassicurazioni di un teatro da applaudire seduti comodamente in poltrona.