La danza contemporanea ’80-’90: i nuovi esiti a confronto

e-ink secondo Aterballetto (photo: Nadir Bonazzi)
E-ink secondo Aterballetto (photo: Nadir Bonazzi)

La danza contemporanea in Italia ha sempre faticato a trovare un suo spazio, relegata ad un ruolo secondario dall’accademismo, che si vuole detentore della verità prima e assoluta, ma anche dagli enti preposti alla divulgazione, con le loro incerte politiche culturali, e da una disattenzione della critica che non ha permesso alle esperienze di respirare e maturare nel confronto.

Questo insieme di fattori ha portato ad una perdita di memoria rispetto a un passato artistico che in nuce conteneva “germi di una creatività tutta italiana e di una capacità di progetto, spesso in bilico tra danza, teatro, arti visive, poesia e letteratura, sorprendentemente originali”.

Partendo da queste considerazioni, e innestandosi in una tendenza internazionale che volge lo sguardo al passato per riuscire a interpretare il presente e immaginare un futuro, è nato nella mente di Marinella Guatterini RIC.CI / Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta-Novanta, tentativo di colmare un vuoto rispetto a quella “realtà contemporanea che previene l’attualità”.
E’ la stessa Guatterini a presentare a Pesaro il suo progetto, che ha potuto vedere la luce grazie alla collaborazione dell’AMAT, di Arteven e del Teatro Pubblico Pugliese, nonché grazie allo sforzo produttivo di  Fondazione Teatro Grande di Brescia, Fabbrica Europa, Scuola Paolo Grassi di Milano, Fondazione Ravenna Manifestazioni, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara e il festival Torinodanza.

La forza del progetto, come afferma la stessa Guatterini, consiste nel fatto che “si è partiti dall’idea della produzione e non da quella della documentazione”.
Il primo passo infatti, dopo la scelta dei brani, “dettata dalla loro eterogeneità” che apre lo sguardo sulla varietà dei segni degli anni considerati, è stato quello di rimetterli in scena affidando agli stessi coreografi autori il compito di selezionare i nuovi interpreti e quindi passare loro la propria creazione. Questo perchè la forza della coreografia è non tanto nella memoria del brano in sé ma proprio nel rapporto che si instaura tra il portatore della visione e coloro che la dovranno tradurre sulla scena, in quel ritrovare il senso del lavoro, in quel riuscire a “continuare a credere nella propria coreografia”.

Ma se è importante la forza dei coreografi che in questo passato prossimo immaginarono e sperimentarono, è altrettanto fondamentale l’apporto dei giovani corpi che ne raccolgono l’eredità, colorandola con la loro contemporaneità, rivitalizzandola, cambiandola sottilmente per potersela ricucire addosso.

Al momento attuale sono sette i pezzi rimessi in scena: “Duetto” di Certini/Sieni, “Calore” di Enzo Cosimi, “La Boule de Neige” di Fabrizio Monteverde, “Terramara” di Abbondanza/Bertoni, “Pupilla” di Valeria Magli, “Uccidiamo il chiaro di luna” di Silvana Barbarini, “E-Ink” di Michele di Stefano.
Grazie allo  sforzo produttivo delle fondazioni partner e alla collaborazione dei circuiti che con sensibilità hanno accompagnato il progetto, questi pezzi hanno ora una loro circuitazione che permette al repertorio così costituitosi di consolidarsi e di diffondersi.

Sorge spontanea, dagli intervenuti alla presentazione, una domanda: “Qual è la reazione del pubblico a questi lavori che appartengono sì a un passato prossimo ma comunque a un passato?“. “Non vengono considerati lavori del passato” è la risposta di Marinella Guatterini, ma “piacevoli novità”.
La rielaborazione non didascalica operata dei coreografi, la linfa immessa dai giovani interpreti, hanno riattualizzato la forza che le coreografie già contenevano. La ghiotta occasione in questo momento pesarese dedicato al progetto RIC.CI è però la presentazione dei sette libretti che rappresentano l’altra importante parte del progetto stesso. Raccolgono materiale relativo a ogni pezzo ricostruito, interviste, note, articoli, nonchè una parte denominata “Capsule del tempo”, una serie di dvd che documentano il lavoro di ricostruzione fatto. Partendo dalla produzione quindi si arriva alla documentazione, memoria che dal corpo si trasferisce al supporto cartaceo e multimediale per una necessità di memoria.

Tra i libretti, quello dedicato a “E-Ink”, coreografia di Michele di Stefano datata 1999, rielaborata per due danzatori di Aterballetto e proposta nella serata dedicata al repertorio contemporaneo proprio da Aterballetto.
Come anticipato da Marinella Guatterini, “Mk era la carne, i due nuovi ragazzi sono lo scheletro” di “E-Ink”. Per chi come me ha avuto la fortuna di vederlo nella sua forma originale, questa frase è il sunto esatto di quanto si vede in scena. Duetto formalmente perfetto di corpi slabbrati, composto da una miriade di segni rispondenti a logiche ritmiche differenti, nell’interpretazione dei due ragazzi perde la parte profonda del grottesco che lo contraddistingueva. La formazione che ha plasmato i corpi dei due nuovi interpreti rende faticoso per loro ritrovare quella naturalità del gesto che è un tratto distintivo della danza di Mk, quella forma che non è mai forma ma continua instabilità del tratto, quel non raccontarsi fuori da sé. Va dato atto però di una ricerca onesta in questo senso, di una strada che è come all’inizio della sua percorrenza, lo smottamento di un conosciuto che potrà lasciare emergere una nuova sostanza.

Più aderente da questo punto di vista quindi la seconda coreografia della serata, targata Michele di Stefano: “Upper-East-Side”. Indagine sulla “frase” coreografica e sulla sua collocazione all’interno di un sistema, in realtà ha lasciato ai danzatori la responsabilità della creazione delle sequenze secondo richieste specifiche, mentre il lavoro coreografico si è spostato sulla geografia dei segni, la loro collocazione spaziale, la creazione di paesaggi nelle vicinanze e nei raccordi dei corpi. Danzatori quindi più coerenti con la loro possibilità formale, spinti dalla ricerca in nuovi territori. Peccato che i livelli diversi, la debolezza di alcuni interpreti, e una generale personalità poco delineata non riuscissero a dare vera forza alle danze.

Queste debolezze sono ancora più evidenti nel pezzo che porta la firma di Cristina Rizzo, “Tempesta/The Spirit”. Le note di sala ci raccontano di un mondo nuovo dopo il dramma, dove la riconciliazione e la relazione delineano nuove possibilità. Forse non basta mettere insieme tre coppie di interpreti per ottenere questo. La coreografia non ha forza di suggestione, non trova un respiro che riesca a rendere evidente un pensiero, presenta delle ingenuità quasi imbarazzanti, sia nella grammatica dei corpi sia nell’uso dello spazio.

L’incontro successivo alla visione, moderato da Silvia Poletti, ci rimanda uno spaccato del pubblico pieno di perplessità su quanto visto. L’incapacità di comprensione di questo linguaggio sembra essere il tratto più comune, testimoniando come sia poca e difficile la dimestichezza con il contemporaneo. Anche i due danzatori chiamati a raccontare la propria esperienza nell’incontro con questi coreografi sembravano non avere le parole e la linea di pensiero che possa collegarli veramente a un discorso sulla danza non strettamente legato a pliè ed arabesque. Ma la grande curiosità con cui gli spettatori hanno seguito le spiegazioni che la stessa Poletti ha dato, coadiuvata da Marinella Guatterini, indicano che il percorso intrapreso dal progetto RIC.CI sia giusto, che nella diffusione e nella condivisione dei saperi si possa veramente incontrare quel pubblico non passivo ricettore di una bellezza estetica ma interlocutore importante di un fare artistico che interroga il nostro contemporaneo.

TEMPESTA /THE SPIRIT
coreografia e ideazione costumi: Cristina Rizzo
musica: autori vari
interpreti: Saul Daniele Ardillo, Alessandro Calvani, Martina Forioso, Giulio Pighini, Lucia Vergnano, Chiara Viscido
consulenza sonora e mixage: Spartaco Cortesi
luci: Carlo Cerri
realizzazione costumi: sartoria Aterballetto

durata: 23’
applausi del pubblico: 1’ 02”

stars-2

 

E-INK
coreografia luci costumi: Michele di Stefano
interpreti: Damiano Artale, Philippe Kratz
musica: Paolo Sinigaglia
realizzazione costumi: sartoria Aterballetto / Francesca Messori
produzione 2015: mk, Fondazione Nazionale della Danza /Aterballetto, Fabbrica Europa
riallestimento 2015 a cura di Biagio Caravano e Michele di Stefano:
nell’ambito del progetto RIC.CI /Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta-Novanta
ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini
produzione 1999 mk/Festival Teatri 90/Ref

durata: 12’
applausi del pubblico: 2’

stars-3.5

 

UPPER EAST SIDE
coreografia: Michele di Stefano
musica: Lorenzo Bianchi Hoesch
interpreti: Damiano Artale, Alessandro Calvani, Martina Forioso, Philippe Kratz, Riccardo Occhilupo, Giulio Pighini, Lucia Vergnano, Serena Vinzio, Chiara Viscido
consulenza sonora e mixage: Spartaco Cortesi
luci: Carlo Cerri

durata: 23’
applausi del pubblico: 2’ 05”

stars-4

 

Visti a Pesaro, Teatro Rossini, nell’ambito della rassegna Teatroltre 2016

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