Dal loggione, con la testa all’ingiù. Così sarebbe stato da vedere il “Faust” che ha riaperto il Teatro La Fenice, anche in questa così strana occasione, come accadde più e più volte nel corso della storia, tra le chiusure e le riaperture dei sommovimenti risorgimentali, o di quelli ben più gravosi dovuti alla Seconda Guerra Mondiale.
E dal loggione perchè mai? Si torna intanto al brusio che solo agli ultimi piani ancora è possibile vivere con gusto ottocentesco, e popolare, ma soprattutto per le sempre nuove rimodulazioni dello spazio della casa dell’opera veneziana, che in pressoché tutte le scelte di programmazione da quando la pandemia è occorsa hanno portato nel teatro ad imporre le proprie necessità e le proprie misure.
Il “Faust” spazializzato da Joan Anton Rechi e diretto da Frédéric Chaslinsi presenta nelle sue scene visive migliori mostrando una pavimentazione tutta specchiante e riflettente nell’area solitamente spettante alla platea della Fenice: le sedute, dunque, solo dai palchi all’insù. Ma è dal parapetto del loggione che davvero si può ammirare l’effetto ottico di questa scelta di regia, capace di creare una Fenice-abisso. I palchi, riflessi al contrario sul grande pavimento illuminato ed accecante, non fanno che sdoppiare la grande cassa ornamentata, rimandando presto alle prossimità infernali dell’opera portata in scena.
Uno spettacolo che, nella rivisitazione proposta, ha davvero molto a che fare con la tradizione, troppo spesso dimenticata, delle sacre rappresentazioni di tipo medievale. Non è un caso che all’inizio di tutto, Faust riceva l’apparizione di un elegantissimo Mefistofele con cilindro proprio tra una serie di banchi, che vogliono ricreare l’apparenza degli interni di una chiesa.
Convincenti le performance canore, soprattutto del solidissimo Alex Esposito nei panni della centrale figura diabolica, e notevolissima pure la Marguerite di una Carmela Remigio in ottima forma.
Meno riuscite le costanti presenze, alla Fenice, di luci colorate, spesso sui toni del blu, che tentano di innovare la regia in senso contemporaneo risultando invece sempre a metà, incapaci di collimare con le belle gonne, ampie e vittoriane, delle molte presenze femminili del coro soprattutto. Ed è un peccato, perché altrimenti la rievocazione storica, la fedeltà, avrebbe trionfato, riportando a piene mani nella Francia, in piena espressione di sé, del tempo di Gounod.
L’opera a Venezia non ha smesso di confermare la propria eccellenza anche con le proposte del Teatro Malibran. Che aria si respira in laguna la sera della prima di “Farnace”, ricchissima opera vivaldiana del 1727!
In piena platea, in un teatro non gremito come ci si aspetterebbe, siede anche il grande regista d’opera Robert Carsen, tra le migliori poltrone dell’opera internazionale, a cui molti appassionati dall’evidente lungo corso si avvicinano dicendo “Maestro, il suo ultimo lavoro, che gran cosa!”. L’opera-mondo. La città lagunare sembra tornata una piazza davvero interessante in cui seguire spettacoli capaci sempre di stupire.
Torniamo a Vivaldi, però, e vien da dirlo anche della particolare regia di Christophe Gayral, nuovo allestimento che pone tutte le avventure militari dell’orientale re Farnace contro l’oppressione della Roma Antica, in un non meglio identificato Medio Oriente, in cui donne col velo e uomini che solo qualche anno fa avremmo definito “talebani” si oppongo alle tute blu con grandi bandiere rosse, di un esercito che, pur targato SPQR, fa molto pensare all’ONU.
Ma Farnace è anche osteggiato dalla suocera Berenice e così viene imprigionato. Tuttavia la fiera suocera cederà all’amore per la figlia Tamiri, sposa di Farnace, risparmiando quindi la vita al genero.
Siamo stati noi, e più volte, a chiedere il rischio di regie sempre più contemporanee per la Fenice, eppure questa scelta, in fondo paradossalmente ancora tradizionale, così troppo tematica e poco innovativa nella sostanza scenica, lascia un po’ con l’amaro in bocca. Ci ha fatto quasi sentire fuori posto, perché la forza drammaturgica di questa grande opera di Vivaldi, questo “Farnace” così troppo poco conosciuto in confronto all’assoluta pregnanza tanto testuale quanto musicale, sembrava forse non avere neppure così bisogno di andar tanto lontano.
«Come accade spesso nei libretti di quel tempo, la storia del libretto di Farnace è sia semplice che complicata: i personaggi sono ben caratterizzati ma perdono coerenza nel corso della narrazione; ci sono incongruenze nella storia stessa (alcune grandi battaglie durano un minuto, alcuni personaggi cambiano idea radicalmente senza una reale ragione ecc…) – commenta il regista Gayral – In breve, per la messinscena, è bene rimanere assolutamente fedeli all’intreccio ma anche essere capaci di tirar fuori il meglio dall’opera, e a volte proporre nuove idee sceniche con l’obiettivo di trovare una logica vera nel dispiegamento della vicenda, e quindi trovare una nuova drammaturgia coerente».
Tuttavia la rivisitazione è sembrata forse poco necessaria, e ad allargare un po’ la piaga, pure qualche scelta nel cast canoro, forse non del tutto all’altezza, seppur bilanciata da presenze assolute come il vincente Gilade di Kangmin Justin Kim, che si spera tornerà presto nelle scelte di cast dei nostri teatri d’opera italiani: val la pena ascoltare tutta l’opera anche soltanto per perdersi negli inevitabili voli estetici delle sue arie.
La parte musicale è affidata all’autorevolezza di Diego Fasolis, direttore d’orchestra tra i massimi esperti della musica di Vivaldi.
Impressioni puntinate a parte, anche questo spettacolo dimostra il gran lavoro programmato dal sovrintendente Ortombina, che conferma la sua visionarietà e la sua capacità di creare grande ed alto spettacolo con ambizioni che le molte limitazioni dovute alla situazione pandemica hanno comunque permesso di realizzare.
Venezia convince, e varrà la pena di frequentare di più le molte e ricche proposte di questa stagione della Fenice.
FAUST
Charles Gounod
Direttore Frédéric Chaslin
Regia, scene e costumi Joan Anton Rechi
light designer Fabio Barettin
Doctor Faust Ivan Ayon Rivas
Méphistophélès Alex Esposito
Marguerite Carmela Remigio
Valentin Armando Noguera
Wagner William Corrò
Siébel Paola Gardina
Marthe Schwertlein Julie Mellor
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti
ballerini: Giulia Mostacchi, Gianluca D’Aniello
Assistente regia Tamara Heimbrock
con sopratitoli in italiano e inglese
durata: 3 ore e 5 minuti
(prima parte 1 ora e 15 minuti, intervallo 20 minuti, seconda parte 1 ora e 30 minuti)
FARNACE
Antonio Vivaldi
maestro concertatore e direttore Diego Fasolis
regia Christophe Gayral
scene Rudy Sabounghi
costumi Elena Cicorella
light designer Giuseppe Di Iorio
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Farnace Christoph Strehl
Berenice Lucia Cirillo
Tamiri Sonia Prina
Selinda Rosa Bove
Pompeo Valentino Buzza
Gilade Kangmin Justin Kim
Aquilio David Ferri Durà
Un fanciullo Pietro Moretti / Beatrice Zorzi
prima rappresentazione assoluta: Venezia, Teatro Sant’Angelo, 10 febbraio 1727
versione adattata da Andrea Marchiol
con sopratitoli in italiano
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
durata: 2 ore e 40 minuti
(prima parte 1 ora e 30 minuti, intervallo 15 minuti, seconda parte 55 minuti)
Visti a Venezia, La Fenice, il 27 giugno e il 6 luglio 2021