La ferocia. VicoQuartoMazzini rilegge a teatro il romanzo di Lagioia

La ferocia (ph: Francesco Capitani)
La ferocia (ph: Francesco Capitani)

Linda Dalisi firma l’adattamento del libro che vinse il Premio Strega nel 2015

“Nessuno ha più coscienza delle proprie azioni peggiori. Ci riuscivamo un tempo. Non ci riusciamo più. Soffriamo. Diamo la colpa al meccanismo. Come darla alla natura. Se non c’è scelta, non c’è nemmeno colpa”.

Con queste parole senza speranza sintetizza il giornalista Danilo Sangirardi (Gaetano Colella) l’intimo senso de “La ferocia”, la complessa e affascinante creazione teatrale che Michele Altamura e Gabriele Paolocà, della piccola compagnia Vico Quarto Mazzini, hanno pervicacemente voluto mettere in scena con un gruppo di ottimi attori, accompagnati dall’adattamento di Linda Dalisi, traendola dall’omonimo romanzo di Nicola Lagioia, vincitore nel 2015 del Premio Strega.

I due ardimentosi sono stati aiutati nell’impresa dall’associazione culturale Gli Scarti – Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione di La Spezia, che per la corposa e coraggiosa produzione è riuscita a raccogliere intorno a sé una cospicuo e variegato numero di produttori.

Il romanzo dello scrittore barese narra l’eclissi morale di una famiglia della sua terra, tutta impegnata, senza alcun impaccio etico, nella ricerca smodata del successo economico. Per far questo mette in scena, con echi di tragedia, un grumo di personaggi deleteri e remissivi che la vita e la cronaca, nostro malgrado, ci hanno fatto imparare a conoscere.
È intorno al cadavere di una giovane donna, forse suicida, che si consuma tutta la tragedia interiore dei sentimenti: il cadavere di Clara Salvemini, il cui capostipite è il palazzinaro Vittorio, che senza scrupolo alcuno è riuscito a costruire un vasto impero del malaffare (Leonardo Capuano, perfetto nel suo ruolo), aiutato nell’impresa dal figlio ingegnere Ruggero (lo stesso Altamura), che si presta volentieri ai suoi maneggi. L’unica donna presente in scena è Annamaria, la moglie tradita (Francesca Mazza, come sempre bravissima ad esprimere i suoi rovelli interiori), colma di dubbi ma incapace di opporsi al marciume che la sommerge.
L’orrore che vediamo in scena è posto agli spettatori non solo con i dialoghi tra i personaggi che ne delineano i contorni, ma anche attraverso i loro dolorosi monologhi, che ne amplificano l’essenza, a cui fa da contraltare il podcast di Sangirardi, un giornalista che inquadra le vicende in un Sud Italia dalla meravigliosa natura, preda nel contempo degli appetiti di una classe dirigente stoltamente avida.
Così, intorno al corpo di Clara, vittima sacrificale del barbaro gioco a cui si era anch’essa prestata, si ricompone pezzo per pezzo, frammento per frammento, il puzzle della “ferocia” messa in gioco.

Anche grazie all’uso dei microfoni e per lo stridente accompagnamento musicale di Pino Basile, a cui si aggiungono di quando in quando i sibili di un tipico fischietto popolare pugliese a forma di sirena, lo spettacolo, nella sua sapiente e costruita astrazione, rompe prepotentemente il naturalismo che sembrava avvolgerlo, e giunge col suo intimo e profondo senso in modo potente alla platea.

Intorno al corpo percepiamo sia la colpevole inconsistenza del marito Alberto (Andrea Volpetti), sia l’avidità degli avvoltoi che le girano intorno: il medico legale cocainomane Gennaro Lopez (Enrico Casale), l’ex sottosegretario alla Giustizia Valentino Buffante (Roberto Alinghieri) e Costantini, il pezzo grosso dell’università, l’uomo rana del Toys Center.

Alla fine però sarà proprio il personaggio che sembrerebbe più defilato, il più esterno a quello che avviene nella sua famiglia, l’altro fratello di Clara, Michele (Gabriele Paolocà), fuggito a Roma per ricercarsi una nuova identità personale e lavorativa, colui che riuscirà a interrompere per la prima volta, con la verità, il gioco putrido del malaffare.

Niente di tutto ciò viene nascosto dalla costruzione scenica di Daniele Spanò, che ci immerge nell’interno geometrico della casa dei Salvemini attraverso una grande e semplice vetrata, mentre simbolicamente, poco alla volta, arbusti paludosi la sommergono. Su una parete giganteggia il quadro di Max Ernst, “L’Europa dopo la pioggia”.
In tal modo gli scontri in atto tra Natura e Cultura, tra Umanesimo e Sopraffazione, tra Onestà e Corruzione, ci vengono restituiti senza enfasi alcuna, ma con la consapevolezza amara che solo un teatro accorto e sapiente ci può consegnare.
Dal 13 al 18 febbario a Torino, il 24 e 25 febbraio a Firenze e dal 27 febbraio al 3 marzo a Milano.

LA FEROCIA
ideazione VicoQuartoMazzini
regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà
adattamento Linda Dalisi
con Roberto Alinghieri, Michele Altamura, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza, Gabriele Paolocà, Andrea Volpetti
scene Daniele Spanò
luci Giulia Pastore
musica Pino Basile
costumi Lilian Indraccolo
aiuto regia Jonathan Lazzini
realizzazione scenografie Officina Scenotecnica Gli Scarti
direttore di scena Daniele Corsetti
progetto audio Niccolò Menegazzo
datore luci Marco Piazze
cura della produzione Francesca D’Ippolito
ufficio stampa Maddalena Peluso
grafica Leonardo Mazzi
consulenza artistica Gioia Salvatori
produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, LAC Lugano Arte e Cultura, Romaeuropa Festival, Tric Teatri di Bari, Teatro Nazionale Genova

Visto a Genova, Teatro Gustavo Modena, il 25 gennaio 2024

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