La fortuna aiuta gli audaci. E a Teatro a Corte il coraggio non manca

La compagnie Trafeli
La compagnie Trafeli
La Cie Trafeli (photo: Batardon)
Si parte insieme, direttore artistico incluso, come per una gita fuori porta, su una piccola navetta (gratuita) che puntuale si avvia dalla centralissima piazza Castello verso l’universo magico di Teatro a Corte, ospitato per questo percorso negli spazi del Castello di Rivoli.

All’arrivo veniamo condotti in una delle sale del museo al primo piano: là ci attende Nick Steur, performer e artista visivo olandese.
Mentre ci disponiamo in piedi ai lati di un tappeto nero, Steur si mette lentamente le scarpe e comincia a osservare le pietre che ha a disposizione e insieme sei cubi coperti di specchi.
Si mette presto al lavoro e, sotto i nostri occhi increduli, in soli trenta minuti comincia ad impilare pietre e sassi di dimensione e foggia diversi, componendo su ogni cubo una piccola scultura: sei piccole sfide alla gravità.

Tuttavia, al di là delle innegabili doti di Steur, ciò che più colpisce non è la prova di bravura, ma lo spettacolo del suo volto, teso e controllato al millimetro come tesi e precisi sono gli impercettibili movimenti delle sue mani e del suo corpo. La sua è una lotta al millimetro, una sfida reale che sembra, agli occhi del suo autore, avere molta più importanza di quanto si potrebbe credere.

Steur ci chiede il silenzio più rigoroso e rimprovera timidamente alcuni spettatori che chiacchierano, come se per lui fosse in effetti una questione di vita o di morte. E noi con lui, stiamo immobili e attenti; là, come se aspettassimo da un momento all’altro il tonfo rovinoso delle pietre sugli specchi, siamo testimoni partecipi, soprattutto nei momenti più difficili, quando Steur pazientemente accetta la sconfitta e si ingegna per trovare un’altra combinazione di pietre.

Ma la domanda vera, a proposito di questo breve spettacolo e anche di quelli che verranno dopo nel corso della serata, è questa: a cosa serve? A che serve impilare pietre?
Per fortuna a niente. Per fortuna c’è ancora qualcosa, anche a teatro, che non serve a niente. Ma che solo esiste, si mostra e si offre come esperienza, e semplicemente è una cosa “libera” perché “non si usa” e non “serve” niente e nessuno.

Allora crediamo che, prendendo come esempio le pietre di questo artista, tutto il festival possa tornare a farci credere in un’arte inutile e quindi libera: una boccata d’aria in un mondo strangolato dalla ricerca continua di scopi.
In un panorama desolante come quello odierno, in cui i teatri vengono chiusi o si adagiano su stagioni di comodo, Teatro a Corte mostra un coraggio inusuale (come inusuale è il teatro che propone), portandoci in luoghi bellissimi (a Rivoli con il pass di Teatro a Corte si poteva anche visitare la collezione permanente del museo) e facendoci provare esperienze nuove e non comode.  

Il festival mostra di riservare un’attenzione preziosa e rara verso gli amanti del teatro e non sottovaluta, cosa importantissima, la nostra capacità di apprezzare simili esperienze. Peccato per chi (pochi!) pensava di entrare pigramente in un teatro buio e di sedersi, non capendo invece che per “percorso” si intende un piccolo tour e quindi una passeggiata tra una location all’altra.
Noi abbiamo invece apprezzato questa modalità attiva di partecipazione, e soprattutto l’idea che ogni performance avesse una propria location, che fosse là quasi per aspettarci.
Continuiamo allora con il resoconto della serata, un vero e proprio crescendo.

Il secondo evento era “JINX103” di József Trefeli e con Gabor Varga, performance curiosa e ben misurata in cui i due artisti mostrano una danza ibrida tra folk (danze ungheresi) e contemporanea.
I due misurano lo spazio e i propri corpi con del nastro, per poi dare vita a uno spettacolo coinvolgente, un vero e proprio dialogo di corpi che, seppur eseguito con maestria, è mancato forse di incisività.

Il terzo appuntamento, nel teatrino del museo, è con Yann Frisch e i suoi “Morceaux de Clown”, vere e proprie pillole di buffoneria clownesca e di magia.
Seppure sia ancora uno studio, come ricorda Beppe Navello all’inizio, questa breve performance incuriosisce e non poco. Frish, con naso rosso e trucco pesante, crea piccoli dialoghi tra oggetti di uso comune e racconta, nella migliore tradizione della clownerie, storie tra il comico e tragico. Tutto fa ben sperare che l’anno prossimo lo si possa apprezzare maggiormente.

Il quarto e ultimo spettacolo è stato il più atteso. Le minacciose nubi su Rivoli e la notizia di una grandinata record a Torino hanno seriamente messo in dubbio la possibilità di vedere questo grandissimo artista alle prese con uno spettacolo incalzante e davvero emozionante.
Lui si chiama Karl Stets e lo spettacolo è “Cuerdo”, performance giocata sul leitmotiv della corda: corda da saltare, da manipolare per creare oggetti e sapienti trucchi, da attraversare sospesa a piedi nudi.

Dopo il primo avviso di annullamento causa maltempo, Teatro a Corte approfitta della prima pausa di pioggia per asciugare le sedie e il palco e decide, coraggiosamente, di fare iniziare lo spettacolo.
Così ci troviamo, con ancora qualche goccia di pioggia che cade, a tu per tu con quest’uomo assurdo, tutto ossa e nervi, che arriva portandosi sulle spalle un’enorme valigia.

Il corpo di Stets è un corpo allenato e capace di diventare ora gigante ora minuscolo (tanto che sembra a volte sparire dentro la sua grande valigia), e gli occhi raccontano tutto lo stupore e la magia di un vecchio registratore collegato a un megafono da cui esce una musica meccanica e d’altri tempi. Mentre cammina sulla corda, Stets è come un piccolo uomo-dio, solo e intoccabile, lassù con i suoi giocattoli, mentre alle spalle fulmini e tuoni imperversano. Un teatro dell’assurdo, della fine del mondo.

Tuttavia la fortuna aiuta gli audaci, e mai come in questa occasione ne abbiamo avuto la riprova: la pioggia si è fermata e lo spettacolo di una tempesta annunciata ha lasciato la scena a questo piccolo grande artista e alla sua magia.
Stets ha magistralmente gestito, da solo, quasi un’ora di performance fino ad arrivare a sedersi in mezzo agli spettatori e a guardare, anche lui curioso, quel palco che, senza di lui, non era niente. Un’arte che gioca con il pericolo e che non smette mai di interrogarsi su se stessa e sul mistero incantatore che la rende tale: questo è Stets, questa l’audacia di Teatro a Corte.
 

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