Carlo Cecchi protagonista della nuova versione, in scena al Teatro Franco Parenti di Milano
Una lettrice (interpretata da Roberta Rovelli) trova un libro, lo apre e lo legge. E’ la “Leggenda del santo bevitore”, romanzo dalle molteplici interpretazioni, nella storica edizione Adelphi ben riconoscibile.
La donna si trova in proscenio, seduta ad un ipotetico tavolino di un caffè parigino. Poi il sipario bianco, telato, si leva dietro di lei. Sulla scena un uomo, che Andrée Ruth Shammah identifica in Joseph Roth, parla con quello che apparentemente sembra essere un barista, più probabilmente un suo amico intellettuale. Le battute recitate da lui sulla questione degli esuli ebrei sono tratte dal libro di Magris “Lontano da dove”.
La scenografia del ridotto palcoscenico del Teatro Franco Parenti ci restituisce l’interno di un locale. Sulla sinistra, il bancone a cui è appoggiato Carlo Cecchi.
Lo spettacolo, tratto dall’omonimo libro, è in realtà una ripresa. L’originario, del 2006, aveva come protagonista Piero Mazzarella, grande attore milanese che non ha mai superato i confini della Lombardia, un po’ come successe a Franco Parenti, e la Shammah lo aveva pensato proprio per lui. Mazzarella, approfittando della sua presenza corpulenta, aveva così dato grande vita al racconto del vagabondo Andreas, con conseguente grande successo. Già allora l’idea della regista era quella di identificare il personaggio con il suo autore. E c’è in tutto ciò un fondamento di verità, dal momento che Roth è realmente morto uscendo da un bistrot poco dopo aver ultimato l’opera.
La raffinata interpretazione che vede ora Carlo Cecchi nel ruolo principale, affiancato da Giovanni Lucini (già presente accanto a Mazzarella), provoca un’inevitabile trasformazione. Il protagonista diventa un intellettuale, acquisendo una dimensione culturale che implementa la presenza di Roth in scena, intento a scrivere di Andreas.
“L’unica cosa che forse ho insegnato è l’importanza del qui e ora” afferma Cecchi. E la Shammah lo sa bene. Per questo si attende che, oltre al testo, accada qualcosa di diverso. La regia lascia in quell’attesa anche gli altri interpreti che, talvolta, diventano volutamente spettatori insieme al pubblico.
Seppur di cultura ebraica, Joseph Roth si era convertito al cattolicesimo senza abbandonare l’ebraismo, ma percependolo, al contrario, come qualcosa che aveva molto a che fare con lui. La regia decide quindi di far coesistere queste due anime, identificando nell’opera una sorta di testamento religioso. E così la parte cristiana, soltanto accennata, viene personificata da un non ben specificato personaggio, che consegna del denaro (più di quello da lui richiesto) al protagonista perché possa fare un’offerta alla chiesa di Batignoles.
Ma torniamo a Cecchi. La Shammah lo convince ad interpretare un personaggio in una veste nuova. Il celebre attore si trova così nel bivalente ruolo di narratore e narrato allo stesso tempo e nello stesso spazio: “Passare dalla terza persona, che sarebbe l’autore, alla prima, cioè al personaggio che Roth descrive, non mi era mai successo – racconta Cecchi – A detta di molti sono un attore che non si identifica mai del tutto nel personaggio, quindi una terza persona c’è sempre, ma qui è proprio chiara”.
Eppure alcuni toni, sarcasmi, sono propri di Cecchi e del suo modo di lavorare. Il che evidenzia come, per la regista, sia proprio la terza persona a costituire la parte fondamentale dello spettacolo.
“Mentre Andreas è descritto dall’autore, Roth va immaginato – continua l’attore – A parte le descrizioni degli amici e le fotografie, non c’è un racconto. E’ lui che racconta. Per me le due figure non sempre ma spesso coincidono… forse troppo per la regista… ma provo una forte simpatia per Andreas, e capita che ci sia un’eccessiva invasione di campo”.
Il risultato è un particolare “affollamento”, in cui Roth, Andreas e lo stesso Cecchi convivono senza distinzione fino alla morte finale. E qui avviene un altro cambio rispetto alle origini.
La morte di Andreas (o di Roth) avviene in scena, al bancone, senza uscita dal locale. Inequivocabile e accompagnato da uno straziante kaddish suonato dalla grande violoncellista Sonia Wieder-Atherton.
Intatte e ugualmente evocative le proiezioni di Luca Scarzella e Vinicio Bordin, che contribuiscono a definire non soltanto lo spazio del café in cui si svolge l’azione ma anche gli stati d’animo del protagonista.
La leggenda del santo bevitore
di Joseph Roth
adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
con Carlo Cecchi
e con Roberta Rovelli e Giovanni Lucini
spazio scenico disegnato da Gianmaurizio Fercioni
con le suggestioni visive di Luca Scarzella e Vinicio Bordin
luci Marcello Jazzetti
costumi Barbara Petrecca
produzione Teatro Franco Parenti
durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 3′ 28”
Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 25 gennaio 2023
Prima Nazionale