La lunga estate calda del Piccolo Teatro. Il dopo Escobar non decolla

Il Chiostro Nina Vinchi del Piccolo
Il Chiostro Nina Vinchi del Piccolo

CdA del Piccolo Teatro che vai, fumata nera che trovi.
Per la seconda volta in meno di due mesi – in mezzo le vacanze estive – i consiglieri espressi dalla Regione Lombardia Angelo Lorenzo Crespi ed Emanuela Carcano non si sono presentati in Consiglio d’Amministrazione, facendo mancare il quorum per l’elezione del nuovo direttore.

È successo mercoledì 16 settembre, ripetendo il copione del 27 luglio. Nulla si era deciso neppure nella riunione del 31 luglio. Tre repliche sbiadite dello stesso spettacolo, senza drammaturgia e dalla regia confusa. Teatro dell’assurdo. Aspettando il diretùr, e che i consiglieri trovino un accordo. La sensazione è che la disponibilità a un dialogo costruttivo non sia di casa nel CdA del Piccolo, dove regnano rivalità e interessi di parte.

Eppure solo all’inizio della settimana scorsa sembrava imminente la nomina del direttore con la maggioranza assoluta dei voti. Ma la spaccatura tra Comune e Regione si conferma: ormai è diventata una voragine, benché il presidente del CdA Salvatore Carruba avesse annunciato in commissione Cultura a Palazzo Marino che la designazione sarebbe arrivata presto.

Il nome, caldissimo, era quello di Claudio Longhi, 54 anni, direttore di Ert Emilia Romagna Teatro Fondazione, che aveva superato giorno dopo giorno quello di Rosanna Purchia (ora commissaria straordinaria al Regio di Torino), nome che piaceva al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini.

Continua dunque il disdicevole braccio di ferro tra la Regione a guida leghista e il Comune a maggioranza progressista. Anche l’arte entra nel tritacarne del manuale Cencelli, in un Paese perennemente in campagna elettorale.
Si sarebbe potuto ovviare alla diatriba individuando un nome straniero. Del resto, dal 1991 il Piccolo si fregia del titolo di “Teatro d’Europa” per la propria vocazione europeista e internazionale. Ma la Lega dei particolarismi e dell’identità sovranista marcata da slogan come “prima gli italiani” sarebbe stata d’accordo?

Sta di fatto che un nome internazionale di prestigio non è stato espresso neppure dal Comune. Non potendo dire “mal Comune mezzo gaudio”, dobbiamo convenire, con Ennio Flaiano, che a Milano la situazione “è grave ma non è seria”.
Sta di fatto che il dimissionario (e sfiduciato dai suoi stessi lavoratori che gli rimproverano una direzione senza mordente) Sergio Escobar fatica a trovare un successore.

Giorgio Strehler e Paolo Grassi, fondatori del Piccolo nell’immediato dopoguerra, si staranno rivoltando nella tomba, mentre a noi appassionati e addetti ai lavori si sta un poco rivoltando lo stomaco.
Se è vero ciò che affermava tempo fa il sindaco Beppe Sala – componente del Consiglio generale del teatro – che «il Piccolo rappresenta e incarna Milano e l’Italia in Europa e nel mondo», l’immagine che stiamo trasmettendo all’estero non è delle più dignitose. L’autonomia del teatro cui lo stesso Sala ha fatto riferimento, riconosciuta con conferimento dal Governo nel 2016, è diventata un boomerang.
I lavoratori del Piccolo – ancora loro – in un comunicato di qualche tempo fa, hanno ammesso di provare «vivo sconcerto e forte preoccupazione». «Fin dall’inizio – si legge in una loro nota del 28 luglio – avevamo chiesto accoratamente che la procedura avvenisse in un clima di calma e ponderazione, di responsabilità e trasparenza, nonché di pubblica condivisione dei progetti e delle candidature, in ragione delle conseguenze che simile scelta porta con sé. All’opposto, si assiste al consumarsi di uno scontro di natura prettamente politica, che ben poco sembra aver a che fare con l’attenta disamina dei progetti artistici presentati dai candidati e con la qualità delle proposte». «Imbarazzante – denunciavano poi – assistere all’inseguirsi di voci, sulle principali testate nazionali, che testimoniano la circolazione di quegli stessi progetti artistici di cui abbiamo sostenuto fin da principio con forza la necessità della pubblicazione, senza mai peraltro esserne debitamente informati. Ribadiamo la necessità di un dialogo e di una comunicazione costante e trasparente tra CdA e i lavoratori stessi, e rinnoviamo la richiesta di avere un nostro rappresentante permanente al tavolo del Consiglio di Amministrazione».

Pare impresa titanica, insomma, individuare una figura di direzione, gestionale e artistica capace di raccogliere l’eredità di personaggi come Grassi, Strehler, Ronconi, che hanno rappresentato per anni l’identità culturale del Piccolo nel mondo.

A Escobar vogliamo riconoscere l’attenzione alle migliori produzioni internazionali, i tanti spettacoli per l’infanzia come il Festival dei bambini e il cartellone “Il Piccolo per i piccoli”, il sostegno alla compagnia marionettistica Carlo Colla, la rassegna di Outis “Tramedautore” – Festival Internazionale delle Drammaturgie, la cassa di risonanza offerta ad alcune delle migliori espressioni del teatro under 35, il megafono porto nelle mani di realtà “eretiche” di frontiera come Atir o il Teatro della Cooperativa. Questo senza dimenticare i vari spettacoli brutti, pesanti, artificiosi che non si sa bene come abbiano potuto varcare la soglia del più prestigioso tempio della prosa italiano.

Al posto di Escobar ci sarebbe piaciuta una donna, nel solco di Andrée Ruth Shammah, da anni guida solida del Teatro Franco Parenti, o di Serena Sinigaglia, capace di contribuire con il Teatro di Ringhiera alla rinascita del quartiere Gratosoglio. Felicemente femminile a Milano è la direzione di Zona K, con la triade Kastlunger-Picariello-Sinatti, capace di intercettare alcune delle compagnie internazionali più innovative della scena contemporanea. Degna di nota è anche la direzione femminile di Danae Festival, nel segno di un’ibridazione dei linguaggi fortemente voluta da Alessandra De Santis con il supporto di Attilio Nicoli Cristiani.
Se a Pamela Villoresi è stato affidato il Biondo di Palermo e a Laura Sicignano lo Stabile di Catania, non comprendiamo l’occasione persa di una professionalità come quella di Rosanna Purchia, 67 anni, metà dei quali passati proprio al Piccolo (dove era diventata responsabile di produzione), infine capace, come sovrintendente al San Carlo di Napoli di portare gli abbonati dai 1500 del 2010 ai 10 mila del 2019.

Avrebbe potuto essere lei il nome giusto per un teatro che Paolo Grassi voleva popolare e non di nicchia. Purchia, del resto, per la sua capacità di armonizzare le ragioni dell’arte con quelle di una corretta organizzazione finanziaria, assomigliava tremendamente a Nina Vinchi, fino al 1993 perno centrale della struttura organizzativa di via Rovello più degli stessi Grassi e Strehler.

Chiunque sarà il futuro direttore (non ci paiono disdicevoli neppure le candidature “leghiste” di Antonio Calbi e Filippo Fonsatti, il primo con Massimo Popolizio come consulente artistico e il secondo con un regista come Mario Martone) il Piccolo dovrà rispondere senza tentennamenti alla vocazione di un “Teatro d’Europa” capace di viaggiare non solo all’estero, ma anche fuori dei confini tradizionali del palcoscenico. Dovrà andare nelle piazze e incontrare le periferie. Dovrà dialogare con le carceri e le aule universitarie e scolastiche. Dovrà assumersi la responsabilità di scelte coraggiose, controcorrente, proponendo spettacoli d’inchiesta scomodi, spettacoli di denuncia capaci di aprire uno squarcio sulla realtà, di analizzare con lucidità i drammi, gli scandali, la violenza, la corruzione.

Un teatro europeo non deve limitarsi al core business. Un teatro che si rintanasse in un’idea autoreferenziale, pura, solipsistica dell’arte, incapace – per pusillanimità o convenienza – della verità, fallirebbe in partenza nel suo compito di alleviare i dolori umani. Si porterebbe sulla coscienza le soperchierie che non è stato in grado di combattere.
Il nuovo direttore dovrà fronteggiare le critiche da qualunque parte provengano, ma anche tenerne conto più di quanto non sia stata capace di fare la passata gestione. Una volta eletto, dovrà mantenere la schiena dritta e resistere agli strattoni di questa parte politica e di quell’altra.

La speranza è che questa stucchevole diatriba sulla nomina del nuovo direttore sia risolta al più presto. Dopo il coronavirus e le date saltate, le sale chiuse, i lavoratori dello spettacolo in cassa integrazione o disoccupati, in un momento in cui tanti teatri non sanno né come né quando riaprire, e si scatena la battaglia legale per individuare i responsabili dello scempio sanitario che ha travolto la Lombardia, scegliere il direttore del Piccolo dovrebbe essere il più banale dei problemi.

Il Comune si adoperi per una designazione condivisa, dopo un confronto trasparente e rigoroso. La Regione dimostri fattivamente che il territorio della Cultura è libero e sacro, che la Cultura non è merce di scambio, che con la Cultura si mangia, che la Cultura è bene prezioso su cui è doveroso investire. Troviamo paradossale che una Regione come la Lombardia spenda per il teatro la metà del Lazio, pur avendo il doppio dei teatri.
Speriamo che ottobre ci dia il nuovo direttore del Piccolo: il tempo delle chiacchiere e delle schermaglie puerili è finito.

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