Industria Indipendente e Bartolini / Baronio al Teatro India di Roma propongono due visioni diverse di un particolare ‘teatro degli affetti’
La metafora topografica, corporea, del ‘posizionamento’ è una delle possibili prospettive di lettura di un’esperienza di spettacolo. Posizionamento dell’artista in un universo di significanti disponibili, ma anche di proposte commerciali a cui il pubblico risponde con adesione o sospetto (‘postura’ mi sembra una sfumatura adeguata, in questo caso, postura richiesta o imposta).
Nel caso di “La mano sinistra” di Industria Indipendente, in prima nazionale al Teatro India, il collettivo guidato da Erika Z. Galli e Martina Ruggeri sembra puntare al primo di questi punti, avvalendosi di un materiale scenico che fa somigliare il testo a un’installazione performativa da un lato, a un dispositivo-varietà dall’altro, in cui il luogo fisico riprodotto con accuratezza (un club, forse a ridosso dell’ora di chiusura, slargato attorno ai pochi superstiti della serata, ciondolanti e presi da un loro personale puntiglio a raccontarsi o a sottrarsi) è veramente palinsesto aperto a figure e apparizioni, spazio che gira a vuoto alla ricerca di una costante autoaffermazione.
Un’intrattenitrice insieme educata e pungente come Silvia Calderoni ci suggerisce a sprazzi, armata di microfono, qualcosa che sembra un addio, un galleggiarsi attorno di due soggetti con un presente chiaro ma non definito, trasmesso anche in forma di sovratitoli multilingua («Non l’ho presa bene, l’altra sera», «Non ho voglia di parlarne»; «You’re so fucking fake!», «I’m not fake, you are boring»).
Intorno a questa storia, dai contorni appunto sfuggenti, si effonde il linguaggio di una poesia capace di guizzi («Provoco erba spontanea, ritardo nel masticare») pur spesso richiamato nel confine attenuante del sogno fatto/non fatto ma comunque raccontato.
Il tema onirico sembra anzi essere addirittura il leitmotiv del lavoro, forma riconoscibile di uno scorcio dell’esistenza e della percezione laterale, non canonizzabile, sulla scorta di memorie surrealiste o scapigliate.
A tratti Calderoni sembra flirtare con l’idea di un coinvolgimento diretto del pubblico, ma è solo un accenno, non va mai fino in fondo, torna in sé, ritira la mano tesa.
Annamaria Ajmone fa da spalla e non disdegna una circonferenza di buio nel quale immergersi e ballare da sola – ma sulla passerella che a destra sembra gettarsi verso il pubblico, interrotta a pochi passi dalle poltrone, si limita a sedersi, accanto a un piccolo scorpione di plastica. Martina Ruggeri e Iva Stanisic sono per lo più nascoste dietro le loro attrezzature, trazione indefessa del lavoro.
E il pubblico? A chi guarda “La mano sinistra” non è richiesto che di accomodarsi in quest’atmosfera tutto sommato ovattata, che nulla riesce a lacerare e che non lacera nulla. Ma d’altra parte è la mano sinistra, quella meno a fuoco, per il destrimano, la cui grafia non matura mai, che sembra guidarci attraverso questa sua mancanza di presa, in questo gironzolare nelle sue quattro mura. E così l’opera, al di là del tema ‘sinistro’ del non essere e non dirsi diretti, tema montaliano e in fondo buono per ogni rivalsa non solo generazionale, non fa una proposta di intervento, ma si limita a una dichiarazione di posizionamento – rispetto a temi e linguaggio, a un immaginario condiviso, questo sì, con il pubblico. Che a quell’immaginario, incarnato dalle figure in scena, tutte significative con la loro semplice presenza, è sinceramente affezionato, come dimostra nella curva egli applausi, simile a quella di un sorriso che, al riconoscere un amico, si apre.
Sempre al Teatro India, giusto una settimana dopo, applausi anche più prolungati e affettuosi hanno salutato un autoriconoscimento d’altro tipo, una disposizione alla compassione e all’accoglienza: “La voce umana” di Bartolini/Baronio – che col testo di Cocteau non ha che una (polemica?) omonimia.
Qui l’occasione della rappresentazione è altra: si tratta dell’apertura del laboratorio che la scuola di italiano Asinitas chiede di tenere ogni anno a un artista diverso. Quest’anno è toccata al duo romano lavorare con italiani e stranieri rifugiati o richiedenti asilo, dopo il notevole risultato artistico ottenuto, la stagione scorsa, da Fabiana Iacozzilli e il suo “Abitare il ritorno“.
Il tema è quello delle voci (non ci troviamo in una scuola di lingua?), voci che raccontano del sé sbarcato tra noi ma che pure tentano, tra mille difficoltà, di proiettarsi oltremare per raggiungere i paesi d’origine, attraverso le impervie connessioni telematiche o telefoniche.
Anche qui è questione di posizionamento, ma d’altro genere: come ci si siede al tavolino drammaturgico in una condizione laboratoriale che, più ancora del consueto, deve trattare un materiale tematico così fragile e urgente?
Bartolini/Baronio, la cui mano non manca di farsi riconoscere per il gesto sicuro col quale tocca i tasti della commozione e della dolcezza (uso di tecnologie analogiche come vecchie foto e lavagne luminose, musiche di per sé carezzevoli, creazione “sintetica” dei costumi), compiono la scelta più saggia e tradizionale, decidendo di non tradire l’attesa di chi guarda e soprattutto il bisogno di chi fa.
Con un passo indietro costruiscono un lavoro attorno alle singole storie, riuscendo a evitare la melassa di un’enfatizzazione eccessiva, lasciando l’impressione di essersi posti anche loro, come noi, a guardare. Ciò porta a un affollarsi di voci, talvolta in coda come davanti a uno sportello aperto solo per pochi minuti – ma, di nuovo, non è “La voce umana” il titolo? – e di storie, restituite in un ineguale livello di competenza scenica, legato anche al diverso grado di conoscenza dell’italiano dei partecipanti stranieri e alla più o meno esibita “attorialità” degli altri.
La posizione dei due registi può consentire l’epifania di performance individuali come quelle dell’iraniana Sara Ghorbanian Matloob dalla magnetica efficacia comunicativa, che cattura la platea con una tormentata telefonata a casa, ma può dover fare i conti con difficoltà anche oggettive di portarsi o stare in scena.
In questi casi la scelta del posizionamento ‘a lato’ dei due artisti romani mostra incrollabile fiducia e coerenza, e dunque anche qui a parlare è la realtà, e ci è risparmiata la sovrapposizione di scritture eterodirette, sicché è la semplice presenza scenica del corpo a comunicare lo spaesamento di una travagliata biografia e il peso della propria esistenza in vita, nel mondo, ancora strette e soffocate dall’ostacolo della parola recalcitrante. Così abbiamo un omone che contraddice la sua voce robusta e la sua fisicità imponente con il cromatismo angelicato del suo nome, Celestine; o il giovane bangalese, con le sue cuffie gialle e il suo sguardo sperso, preciso negli appuntamenti ma quasi sempre silenzioso, in una cupezza che sembra parimenti pronta a detonare o a sottrarsi d’un tratto in una muta definitiva alienazione.
Se il segno di un teatro degli affetti, come quello di Tamara Bartolini e Michele Baronio si rivela particolarmente adatto all’operazione laboratoriale di “La voce umana”, è perché si tratta una celebrazione, attraverso la presenza della realtà in scena, della possibilità, sempre ricercata, di stare insieme – una posizione orizzontale grazie alla quale palco e platea allungano le mani e si abbracciano.
LA MANO SINISTRA
testi e regia Industria Indipendente (Erika Z. Galli, Martina Ruggeri)
arrangiamenti musicali Steve Pepe, Iva Stanisic, Martina Ruggeri
luci e video Luca Brinchi, Erika Z. Galli
con Annamaria Ajmone, Silvia Calderoni, Martina Ruggeri, Iva Stanisic
foto Claudia Pajewski
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Stabile dell’Umbria
con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, Lavanderia a Vapore- Fondazione Piemonte dal Vivo, Angelo Mai
durata 60′
applausi 3′
Prima nazionale
LA VOCE UMANA
esito di laboratorio a cura di Bartolini/Baronio
di e con Anna Capuani, Maurizia Di Stefano, Mohamed Ed Daoudy, Sara Ghorbanian Matlub, Tuhin Hossen, Magda Jaminska, Zara Kian, Chiara La Gattuta, Giulia Lannutti, Fahim MD, Federica Mezza, Fares Mohsen Wadie Fouad, Celestine Oaikhena, Vanessa Chidinma Philomina Okolie, Bilal Ouredjedal, Daniele Panaroni, Marco Rinaldi, Neha Sharma, Greta Tommesani, Khanum Yehoian / drammaturgia Tamara Bartolini / sonorizzazioni Michele Baronio / disegno luci Javier Delle Monache / suono Michele Boreggi / regia Tamara Bartolini e Michele Baronio
tutor Cecilia Bartoli, Luca Lòtano, Federica Mezza / tutor volontari Anna Capuani, Maurizia Di Stefano, Anna Pucelli, Lubna Rahman
organizzazione Luca Lòtano / produzione Asinitas
progetto Crossroads / co-finanziato dall’Unione Europea (CREA-CULT-2021-COOP) e Fondazione Alta Mane Italia
crowdfunding Banca Etica, Progetto selezionato dal bando Impatto+ 2022, promosso da Banca Etica ed Etica Sgr tramite Produzioni dal Basso – contributor Sebastiano Anselmi, Anna Capuani, Maurizia Di Stefano, Farida Haggiagi, Ruth Neizert, Marinella Ottier, Paola Ricca Mariani, Sergio Rossi, John Spittle, Francesco Zecca – contributor principale Maddalena Cenni, Cucimondo – co-produttore Exelab, Netplan Italia
con il contributo di Angelo Mai e Bluemotion / con la collaborazione di 369gradi
Durata 55′
applausi 4′