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La merda. Inno di una nazione che muore

Silvia Gallerano
Silvia Gallerano
Silvia Gallerano (photo: Guido Mencari)
C’è un monologo che da due anni sta riempiendo di gente, di clamore e applausi ogni luogo in cui viene messo in scena. Ben oltre l’Italia.
Ha una struttura semplice e diretta. È uno sfogo dichiarato, dal sapore caustico e l’intento catartico.

I tre capitoli che lo compongono rispecchiano le più grandi e misere tra le ossessioni odierne (le cosce-il corpo; il cazzo-il sesso; la fama-il successo).
Si cavalca il malcontento generale ma con grande maestria: la partitura vocale affidata a Silvia Gallerano, nuda in scena, seduta in cima ad uno sgabello gigante, è eccezionale; la costruzione del discorso tende a climax che rendono impossibile sottrarsi all’applauso. Con un testo debitore a Pasolini, attento alle urgenze dei nostri desolati giorni, e con un inno italiano “de-cantato” con una vena grottesca e dissacrante, senza dubbio la vetta dello spettacolo.

Nei giorni in cui un nuovo (?) “attore politico” – che peraltro ha fin da subito evidenziato la sua posizione contraria al Valle Occupato – sale alla ribalta dichiarando che “farà uscire l’Italia dalla Palude”, è forse paradossale notare come, nelle note di regia che presentano “La merda” scritta da Cristian Ceresoli, di cui vi proponiamo oggi un incontro-intervista avvenuto proprio al Teatro Valle Occupato di Roma, si dice come lo spettacolo abbia una spinta propulsiva nel disperato tentativo di districarsi da un pantano, o fango…

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