Nora (guarda caso!), la stagista che ci accoglie in aeroporto, ci parla subito del viaggio che ha fatto con sua nonna in Italia. Ci dice che qui, in Norvegia, esistono dei tour organizzati sulle tracce di Henrik Ibsen nel Bel Paese. Ibsen del resto ha passato molti anni della sua vita tra Roma, Amalfi, Frascati, Ischia, Sorrento, Colle Isarco e Ariccia. E lì ha partorito la maggior parte delle sue opere.
“Spettri”, una delle più cupe, l’ha scritta proprio ad Amalfi, ospite di un hotel a strapiombo sul mare. Forse era in cerca di un’identità, della distanza giusta per poter descrivere la propria terra e allo stesso tempo le proprie angosce personali.
E chissà, forse sono le stesse motivazioni che ci hanno portato qui.
E’ la prima volta che un gruppo italiano partecipa all’International Ibsen Festival e la curiosità è tanta. Da queste parti Ibsen è un vero e proprio mito, tanto che il viale principale della città si chiama Henrik Ibsen Gate. Qui però il mito non è qualcosa da venerare e custodire all’interno di una teca di vetro. L’impressione è che ci sia tanta ironia sul personaggio dell’autore, sul suo aspetto austero, sul suo carattere introverso, sulla sua barba folta, sulla sua altezza (Ibsen era alto un metro e sessanta! Niente a che vedere con l’omaccione barbuto che ci immaginavamo. Forse aveva più somiglianze con i troll che affollavano le sue fantasie!).
Della sana irriverenza, insomma, tanto che il titolo dell’Ibsen Festival 2016 è “After Ibsen”.
Tutti gli spettacoli ospitati si interrogano sul senso profondo delle opere dell’autore norvegese, su come, scardinandole, possano ancora parlare alle platee del contemporaneo. Ibsen diventa allora un ottimo materiale per parlare di “noi”, di “noi” viventi in questo momento preciso, e non solo banalmente “per svelare l’attualità del testo e delle tematiche affrontate”. Così, ad esempio, Peer Gynt del gruppo tedesco Markus & Markus diventa un malato di Alzheimer che non ricorda più la caduta del muro di Berlino e che crede che i suoi figli lavorino nella Germania dell’Est.
Il nostro “Little Europa” si serve invece de “Il piccolo Eyolf” per avviare una riflessione sull’Europa, sulle incompatibilità interne che stanno portando al crollo dell’Unione. Del testo originale restano le tensioni interne al gruppo familiare formato da Alfredo e Rita, che conducono alla morte per annegamento del loro figlio Eyolf. Più volte ci eravamo interrogati, prima della partenza, su come il pubblico norvegese avrebbe accolto il nostro spettacolo: si aspetteranno un lavoro più filologico, più legato alla drammaturgia originale?
Del resto portare Ibsen, o quel che ne resta, proprio a casa di Ibsen, e proprio in quel National Theatret che Ibsen stesso inaugurò con un suo spettacolo, era un po’ come mettere in scena un “Sei personaggi in cerca d’autore” al Teatro Valle, lì dove ha visto per la prima volta la luce.
Eppure il pubblico in sala, per entrambe le sere, ha apprezzato l’azzardo della nostra operazione, lo ha capito e se ne è lasciato catturare. Un pubblico di tutte le età, diversamente dalle nostre sale composto da tanti adolescenti e poche pellicce.
Ovviamente ne abbiamo anche approfittato per visitare un po’ la città. A partire dal museo nazionale, dove c’è anche una splendida sezione dedicata a Munch. E, non ci crederete, dicendo all’entrata che eravamo degli artisti… siamo entrati gratis!
Ancora oggi Oslo non è una città che si riesce a inquadrare facilmente; è un mix di influenze diverse, di differenti stili architettonici. In alcune zone sembra di trovarsi in una città dell’Est Europa, in altre nella più grigia Germania centrale, poi arrivi al fiordo ed è subito, senza ombra di dubbio, Scandinavia.
E’ come se la tradizione si facesse sentire un po’ meno, non fosse così schiacciante come da noi in Italia. Questo crea da una parte un senso di spaesamento, di difficoltà nel “definire”, dall’altra una grande libertà nella relazione con il ‘nuovo’, con quello che è culturalmente distante. Questa libertà la si percepisce nettamente anche a teatro. Il pubblico è aperto a qualsiasi tipo di esperienza, anche brusca, e l’atmosfera che noi abbiamo respirato in sala durante le repliche di “Little Europa” è stata di grande apertura e attenzione.
Sono un po’ questi i discorsi che affrontiamo in un ristorante che affaccia sui canali del porto.
Per l’ultima sera a Oslo ci concediamo un menù a base di alce e balena: è legale, in Norvegia è assolutamente legale! In lontananza le campane della cattedrale suonano “The sound of silence” di Simon & Garfunkel. Che non stia anche nel protestantesimo la risposta? In una religione che instaura un rapporto più informale con i propri fedeli?