Quando, nel 1928, Virginia Woolf scrisse “Orlando” creò un complicato gioco letterario in cui riecheggiava nel nome del protagonista i più celebri poemi cavallereschi, non già per rievocare i valori di un’epoca scomparsa, né per esaltare il mito della forza maschile, come avveniva nei cicli carolingi, ma, al contrario, per indagare la profonda androginia che sarebbe insita in ognuno di noi.
Sceglieva così sarcasticamente il nome di un’icona per eccellenza della virilità, per creare la figura di un nobile che, avvolto per ordine della regina Elisabetta I in una eterna giovinezza, attraversa i secoli, mutando, se non l’aspetto, il proprio sesso.
La sua parabola, fatta soprattutto di infatuazioni, delusioni sentimentali e amore per la poesia, dimostrerebbe come l’essere umano non possa essere chiuso in una identità precisa, essendo in realtà sfuggente e molto più vasto nella sua complicata psicologia di quanto ci si potrebbe aspettare.
Rendere tutta la complessità di un romanzo della Woolf in uno spettacolo teatrale dalla durata tanto limitata (un’ora) appare un’impresa decisamente azzardata; ma l’operazione compiuta dal Teatro del Buratto è piuttosto quella di creare quadri visivi ispirati al libro della grande scrittrice, sfruttando le potenzialità offerte dal teatro di figura.
Le tante parole che compongono il singolarissimo stile della Woolf sono quindi pressoché azzerate, e i pochi stralci sopravvissuti alla dura selezione risultano quasi del tutto inutili.
Si generano invece sei sequenze visivamente molto affascinanti per uno spettacolo nel complesso sofisticato e suggestivo.
Gli attori, mascherati e caratterizzati da movimenti meccanici, si integrano perfettamente con le marionette che imitano, creando un interessante gioco teatrale in cui l’assenza del volto dell’interprete e, nel contempo, la moltiplicazione della maschera traducono visivamente la riflessione sull’identità dell’uomo affrontata dalla Woolf.
A questo si aggiungono gli effetti tipici del teatro a fondo nero, per cui si vedono comparire dal nulla oggetti come specchi, libri e pagine bianche, i quali si animano e interagiscono con gli attori come in una bella favola di Jean Cocteau.
Lo spettacolo, che ha chiuso IF Festival internazionale di teatro di immagine e figura, acquista così un’atmosfera onirica e insieme fiabesca, che ben si adatta alla ricerca sulla mente e sulle associazioni inconsce condotta dalla Woolf.
E se lo spettatore troverà il senso di questa sequenza di quadri poco decifrabile nei contenuti, questo stesso aspetto renderà bene l’effetto dei libri della scrittrice sui suoi lettori, generalmente sedotti, ma confusi.
Tra le scene più riuscite, la comparsa della Regina tradita da Orlando e il gruppo di bastoni che si agitano intorno al protagonista, ormai di sesso femminile, mal celando con commenti maschilisti la loro morbosa curiosità sul gentil sesso.
Le interpreti non sono forse eccezionali nel pronunciare le battute, ma in compenso sono molto abili nell’uso del corpo e, vestite dai costumi di Marco Muzzolon, davvero degni di nota, seguono con precisione le bellissime musiche di Roberto Andreoni, eseguendo una sorta di ininterrotta coreografia.
Il ritmo è lento, ma la bellezza dei quadri narrati, l’efficace commento musicale, le tante trovate sceniche meritano in effetti tempi lunghi. Così che lo spettatore si lasci avvolgere dalla magia dello spettacolo, senza annoiarsi.
… E SCRISSE O COME ORLANDO
da “Orlando” di Virginia Woolf
traduzione, riduzione e adattamento: Rocco D’Onghia
regia: Jolanda Cappi
con Elisa Canfora, Marialuisa Casatta, Nadia Milani, Francesca Zoccarato
cura dell’animazione: Giusi Colucci
colonna sonora: Roberto Andreoni
puppets, scene e costumi: Marco Muzzolon, in collaborazione con Raffaella Montaldo e Consuelo Olivares
consulenza ai costumi: Paola Giorgi
maschere: Andrea Cavarra (Zorba Officine Creative)
disegno luci: Marco Zennaro
direttore di produzione: Franco Spadavecchia
durata: 1h
applausi del pubblico: 1′ 50”
Visto a Milano, Teatro Verdi, il 27 maggio 2014
Prima nazionale