La Rosaspina bella, lesbo e addormentata di Emma Dante

La Rosaspina di Emma Dante
La Rosaspina di Emma Dante
La Rosaspina di Emma Dante (photo: casateatroragazzi.it)
C’era una volta un teatro ragazzi che non aveva bisogno di grandi nomi del teatro contemporaneo per fare ricerca e aprire nuove strade. C’erano una volta spettacoli dalla drammaturgia e dal soggetto originali, che non pescavano solo nel vasto e affascinante repertorio delle fiabe, ma che nascevano soprattutto dall’esigenza di raccontare in modo nuovo il mondo che ci circonda, declinandolo in una lingua universale che potesse essere capita sia dai bambini sia dagli adulti.

Come si è evoluto oggi quel teatro ragazzi? In quale direzione sta andando?

Forse un segno della recente tendenza lo restituisce proprio la nuova stagione della Casa del Teatro ragazzi e giovani di Torino, che ha inaugurato la sua annata di spettacoli con “La bella Rosaspina addormentata”, ultimo spettacolo che Emma Dante ha scelto di dedicare all’infanzia.
Uno spettacolo che, complice il nome di richiamo e il titolo accattivante, ha segnato un’ottima partenza con un tutto esaurito pomeridiano nella sala grande del teatro.

Il lavoro, ispirato alla versione dei fratelli Grimm, nasconde nel finale una “sorpresa” anticipata in realtà dalle polemiche dei mesi scorsi e dai titoli dei giornali: la Rosaspina di Emma Dante è lesbica e felice di esserlo, incurante dei tormenti di alcuni adulti messi di fronte al difficile compito di spiegare ai bambini un aspetto della vita – l’amore – che può essere declinato in mille varianti.

Questo lavoro, che pur racconta abilmente e in modo originale una delle fiabe più classiche, non convince però fino in fondo. Lo spettacolo, pur nella sua accurata messa in scena, non porta avanti una ricerca teatrale davvero innovativa per il mondo già vastissimo del teatro per l’infanzia ma anzi, a tratti, ne ricalca gli esiti meno originali giocando con voci, espressioni e dialoghi che sembrano riflettere un’idea stereotipata del pubblico bambino.

La riscrittura della fiaba in chiave contemporanea avrebbe potuto essere più marcata, mentre invece si accenna solo ad alcuni aspetti contemporanei ricorrendo a Facebook e alla televisione. Gli unici personaggi ai quali viene data la responsabilità di restituire il sapore del mondo attuale sono le numerose fatine, grottesche e colorate, che sfilano una dopo l’altra per portare in dono le qualità più varie alla bambina. E se alcune paiono puntuali e rappresentative del momento attuale (come la fatina traballante e incerta che regala l’equilibrio), altre risultano invece meno efficaci e più deboli (come la fatina che regala il ritmo), così come poco ricercata ci è sembrata anche la scelta delle musiche di accompagnamento, molto commerciali, come a voler strizzare l’occhio alla platea più adulta.

Messe da parte queste considerazioni, vale la pena comunque di sottolineare la qualità stilistica di un lavoro pensato per raccontare alle nuove generazioni un tema che in Italia sembra ancora tabù: ne sono una prova le polemiche che hanno accolto il lavoro nella sua presentazione a Bologna.

Dal punto di vista visivo la scena iniziale, con una bella addormentata vestita di innumerevoli camicie da notte, tolte una ad una come veli, ci è parsa di grande forza ed efficacia. L’eco di un’adolescenza ormai sempre più anticipata e veloce è rappresentato perfettamente da una Rosaspina non più bambina ma non ancora adulta che, con insofferenza, mette a tacere i genitori iper-ansiosi rifugiandosi nella sua stanza e giocando a vestirsi da donna.
Ed è attraverso il colore pertubante per definizione, il rosso, che Emma Dante gioca tutti in una volta i simboli della trasformazione della bambina in donna. All’appello non manca nulla: rossetto, reggiseno, vestito aderente e tacchi a spillo.

Di grande forza anche il personaggio della fata nera, colei che condanna a morte Rosaspina per ripicca, per non essere stata invitata alla festa di battesimo della bambina.
La scelta di mostrarla sempre di spalle e in controluce carica questo personaggio della negatività che contraddistigue il personaggio; le altre fate invece avrebbero potuto godere di maggiore ricerca vocale, che patisce di timbri e voci spesso troppo simili tra loro.

I personaggi dei genitori, trasformati quasi in pupazzi in carne ed ossa, regalano al lavoro leggerezza grazie anche all’interessante mix di dialetto siciliano e italiano, anche se forse in alcuni momenti questi aspetti vengono troppo forzati.

E il principe/principessa? Il suo personaggio, ruolo chiave di questa versione “politically correct”, potrebbe godere di maggiore forza ed energia. Nei suoi dialoghi con Rosaspina sembra quasi che gli manchi una convinzione di fondo, viziata forse da un eccessivo romanticismo e da una parlata fiabesca che però mal si adatta con il resto della scrittura. Bellissima e d’impatto invece la scena del bacio (il contrasto tra le due donne, simili e al tempo stesso diverse), che catalizza l’attenzione del pubblico rendendo palpabile l’atmosfera in sala.

Un’ultima considerazione la dedichiamo al momento del dibattito con le attrici a fine spettacolo, una delle buone pratiche del teatro ragazzi che permette di coinvolgere direttamente il pubblico offrendo un immediato riscontro sui lavori appena eseguiti. Peccato però che le attrici, interrogate su alcune scelte stilistiche, abbiano lasciato più volte cadere le risposte ribaltandole su un generico ”bisognerebbe chiedere ad Emma”.

Chiudiamo infine con una provocazione, che speriamo faccia nascere un dibattito: lo stesso identico lavoro, firmato però da una regia meno famosa e conosciuta, avrebbe attirato comunque le stesse attenzioni?

LA BELLA ROSASPINA ADDORMENTATA
testo e regia: Emma Dante
con: Gabriella D’Anci, Rosanna Savoia, Emilia Verginelli
assistente alla regia: Davide Celona
luci: Gabriele Gugliara
produzione: Sud Costa Occidentale
pubblico: dai 6 anni

Visto a Torino, Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, il 27 ottobre 2013

 

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  1. says: Francesco Vittorino

    Mah… Non ho visto lo spettacolo, ma non mi stupirei se fosse una furbata. Emma Dante me la ricordo ancora come regista di quella fetecchia di “Carmen” che inaugurò la stagione lirica scaligera qualche anno fa. All’epoca il sovrintendente della Scala affermò che lo spettacolo era troppo avveniristico e sarebbe stato capito almeno due anni dopo. È passato quasi un lustro e a me continua a fare schifo. Anche la regista si era detto che era troppo inesperta e col tempo sarebbe migliorata, ma così a naso mi sembra sempre la stessa finto-intellettuale che propina lavori bruttissimi e il giorno dopo va a frignare nelle interviste dicendo che gli italiani sono retrogradi.