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“La Tenuta” e “Marìa”: storie di donne a Roma

La tenuta (ph: Manuela Giusto)

La tenuta (ph: Manuela Giusto)

Natalia Magni e Hangar Teatri vivono con coraggio gli spazi periferici del teatro della capitale

Mentre nella capitale (e dove altro, se non qui?) si preparava l’arrembaggio al Teatro di Roma, in due spazi periferici la vita del teatro continuava coraggiosa, da una parte con un progetto legato a un’idea antica di compagnia e a un habitat teatrale preciso ma trasportabile altrove (siamo sulla via Salaria, oltre il nord “bene” della città, verso Fidene); dall’altra in un luogo ormai storico del teatro della periferia est, Centrale Preneste, il teatro sotto casa che programma gratuitamente la nuova drammaturgia italiana.

Il primo: in uno dei capannoni dalla vita travagliata che costellano la periferia romana, che va ora sotto il nome di Citylab 971, dentro a un cubo scenico messo su da Luca Ariano, è andato in scena “La tenuta”, secondo lavoro immaginato per quello spazio da Natalia Magni, dopo il recente adattamento del Riccardo III shakespeariano.
Della “Tenuta” Magni è anche drammaturga, con a disposizione una compagnia di otto membri – la stessa del lavoro precedente. Ed è lo spazio che inizialmente fa lo spettacolo, come segnala anche il nome parlante della compagnia, “Lubox”.

Platea e scena entrambi contenuti in un parallelepipedo di legno, nero di qua dal boccascena, bianchissimo e lattiginoso di là, dal soffitto basso ma traslucido per permettere l’illuminazione dall’alto, dalla triplice coppia di quinte che, scena dopo scena prolungano la profondità, portandoci dalle chiacchiere ora sguaiate ora affettuose e dolenti delle protagoniste ai segreti oscuri penetrali del vecchio padre.

Il testo è infatti una commedia sulla cadente casa di famiglia, custode di ricordi, àncora per chi si sente persa e palla al piede per chi vuole andarsene. Non mancano rivelazioni, cambi di registro ma, soprattutto, un netto reindirizzamento della trama attorno a una cesura anche formale, che vira da una storia raccolta nell’intimità della memoria famigliare (due sorelle tradizionalmente opposte, un padre dall’affettività indecifrabile) verso una riconversione dei ricordi in progettualità, rimbalzata e proiettata verso il futuro di una rinascita: la villa non sarà venduta ma resa economicamente fruttuosa, e si creerà un compromesso tra la spinta a disfarsi del passato e quella a lasciarcisi affogare.

L’abisso di un lutto è lo strumento di quella cesura, drammaturgicamente svolto con maestria. Le attrici, in maggioranza rispetto ai maschi, occupano quasi completamente il palco e, nonostante qualche disparità di registro, specialmente evidente con la componente maschile, e qualche ingenuità nella caratterizzazione (ad esempio del padre, paludato e claudicante, con tanto di bastone) prendono ciascuna il proprio passo e portano a destinazione il lungo testo, pieno di parole, che suscita nel pubblico affettuose risate e approvazione.

Attorno a pochissime battute ruota invece “Marìa” di Hangar Teatri, ed è un lavoro in cui la danza, il teatro fisico, il teatro di figura con manovratori in nero si incontrano su un palco anch’esso nero. È uno spazio peraltro continuamente risegmentato dalle luci (non accreditato il designer) che nella la scelta naïf di seguire continuamente l’azione, continuamente dandosi e sottraendosi, hanno la conseguenza inattesa e vincente di parcellizzare continuamente la scena in claustrofobici angoli.

Elena Delithanassis e Ilaria Santostefano (ph: Luca Innocente)

Sarebbe facile, e per molti lo è, pescare con quegli strumenti comunicativi (o meglio con l’apparenza, col semplice sapore di questi strumenti) in un immaginario accondiscendente e poeticistico come quello del vintage, à-la-Amélie Poulain con le sue fisarmoniche, nostalgico, magico, dal tango di una volta al gracchiare di un giradischi, tenorini popolari, valigie di cartone, fumi di sigarette, seggiole e tavolini da tè, piogge, ombrelli, scarpe di vernice, magari rosse. Difficile è trovare in questo armamentario la possibilità di dire qualcosa di vero. Hangar Teatri vi riesce, legando la storia della protagonista, una donna sventata e passionale, assistente di Saturno, il marito, mago scalcinato, alla temperie della dittatura franchista, qui antonomasia di ogni regime oppressivo.

Marìa è rapita da un’infermiera incontrata in un autobus, ed è infilata a forza come degente (ma quant’è tenue la sua resistenza…) in un ospedale psichiatrico, dove è ostaggio non meno di sé stessa che delle attenzioni sessuali della rapitrice, fascista in camice e cuffietta, ogni giorno puntuale al saluto al Generalissimo incorniciato in effige. I lunghi tentativi del malinconico Saturno di ritrovarla, inizialmente frustrati, si concludono con un successo, ma Marìa è ormai traviata, irriconoscibile – o è lui a non essere più in grado di capirla, scatenate come sono le pulsioni della moglie dalla violenza del potere (è un’impressione, ma da qualche parte batte il ricordo del Pasolini delle “120 giornate”, ma anche del “Conformista” bertolucciano, per non scendere fino all’estremo Visconti) della sottomissione imposti dal manicomio?

C’è un senso di irredimibile schiavitù, un’oscenità disperante che permea il racconto scenico. Un’atmosfera tutt’altro che riposante a onta delle belle immagini nette, che penetra in ogni angolo e che disinnesca immediatamente quel facile milieu di cui si diceva.

Tutta la scrittura di “Marìa”, con le sue lunghe pause di silenzio, i suoi fumi, le sue luci-gabbia che tampinano e imprigionano i corpi, l’allegoria di un destino in tabarro e cappellaccio che dispone la scena, a prima vista possono sembrare la poetica pantomima di una lunatica – disperata nella danza infinita sotto il blu di una notte astratta, verso il finale, finalmente a palco disteso – è in verità un lento discendere nell’alienazione e nella privazione della luce.

La Tenuta
Progetto di Luca Ariano
Testo e regia di Natalia Magni
disegno luci Nicola De Santis
scenografia e costumi Giuseppe Bellini
aiuto regia Lorenzo Parrotto
ufficio stampa Viola Sbragia
responsabile di produzione Romina Delmonte
produzione Officina Teatrale
con: Gilda Deianira Ciao, Romina Delmonte, Luca Di Capua, Pietro Faiella, Lucia Fiocco, Mirko Lorusso Liliana Massari, Alessandro Moser

durata: 1h 50′
applausi del pubblico:  3′ 30”

 

 

Marìa
Regia e adattamento drammaturgico Elena Delithanassis
Aiuto regia Marco Palazzoni
Interpreti Marco Palazzoni, Elena Delithanassis, Isabella Polisena
Voci di Fulvio Falzarano, Tullia Alborghetti, Valentina Milan, Sergio Pancaldi

durata: 60′
applausi del pubblico: 2′

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