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Laura Sicignano: per riscoprire la bellezza, “Guardate le stelle”

Laura Sicignano (photo: Antonio Parrinello)

Laura Sicignano (photo: Antonio Parrinello)

Regista, autrice, produttrice e organizzatrice teatrale, fondatrice e anima del Teatro Cargo di Genova, Laura Sicignano dal 2018 è la direttrice artistica del Teatro Stabile di Catania.
L’abbiamo incontrata per fare il punto di questi anni alla guida dello Stabile, tra bilanci e nuove progettualità. Mentre proprio in questi giorni è stato rinnovato il Consiglio di Amministrazione dello Stabile.

A fine settembre ha preso il via la nuova stagione, che segna una vera ripartenza dopo il periodo complesso legato alla pandemia. Venti spettacoli, tutti racchiusi sotto il titolo “Guardate le stelle”, per restituire subito al pubblico tutto quel che è stato cancellato dall’emergenza Covid e aggiungere nuove proposte, tra produzioni e ospitalità, in un cartellone fittissimo, completato da mostre ed eventi collaterali e spazio anche ad una programmazione per il ridotto e all’apertura di una nuova sala.

Per Laura Sicignano si tratta di passi di un percorso che vede lo Stabile come “uno spazio che accoglie allo stesso tempo diverse espressioni dell’arte e molteplici opportunità di dibattito, punto di riferimento per la costruzione di una coscienza civica individuale e collettiva, momento di incontro, di confronto e crescita culturale”.

Il suo percorso alla guida dello Stabile di Catania ha attraversato diverse e complesse fasi, dai problemi economici dell’ente, al rapporto con la città da ricostruire, sino alla pandemia che ha colpito l’intero mondo dello spettacolo dal vivo. Ad oggi quali riflessioni si sente di fare?
Su questi argomenti abbiamo sempre cercato la strada della massima trasparenza proprio con l’obiettivo di ripristinare una relazione di fiducia tra la città di Catania e il suo Teatro Stabile. I passaggi più complessi, le strettoie che ci siamo trovati ad attraversare, avevano e hanno tuttora – in verità – un’unica matrice nella sproporzionata situazione di sovra-indebitamento che nel 2016 stava per rendere inevitabile la chiusura del teatro: un ente che aveva accumulato oltre 13 milioni di euro di debiti non era più credibile agli occhi degli spettatori né più affidabile nel circuito teatrale nazionale, aveva perso ogni capacità progettuale e di conseguenza non era più in grado di svolgere un ruolo non solo nella formazione di una nuova generazione di artisti ma anche nella formazione di un pubblico consapevole, attento, partecipe, critico. Come abbiamo più volte ricordato, il lavoro di un commissario prima e dell’attuale consiglio d’amministrazione poi, e le scelte che insieme abbiamo fatto, ci hanno consentito di sanare una dopo l’altra queste gravi storture: stiamo risanando le finanze, pagando i debiti, riorganizzando il lavoro, ristrutturando gli spazi, rinnovando la proposta artistica nel segno della contemporaneità ma soprattutto riallacciando il rapporto col pubblico.
Oggi posso dire che la campagna abbonamenti alla Stagione 21/22 è stata accolta con una risposta piena di aspettativa e di entusiasmo, abbiamo visto gli spettatori in fila al botteghino per tornare a frequentare le nostre sale: siamo sulla strada giusta, sarà importante che si mantengano le condizioni per continuare a percorrerla.

Durante il lockdown e nei mesi complessi della pandemia avete comunque cercato di non chiudere completamente il sipario, proponendovi al pubblico in modo diverso. Quali esperienze ricorda in modo particolare?
Appena la pandemia e il lockdown ci hanno costretti a chiudere il teatro abbiamo avvertito una duplice responsabilità: una nei confronti dei lavoratori – artisti e maestranze –, per tutelarli nel migliore dei modi, e una nei confronti del pubblico, con cui conservare un dialogo costante, intenso, utile a preservare il ruolo del teatro come strumento di riflessione sulla realtà.
A questa duplice responsabilità abbiamo trovato un’unica risposta nella costruzione di un articolato palinsesto di attività digitali, in cui molte proposte artistiche erano strettamente legate proprio al momento che stavamo vivendo: penso ad “Avanti veloce”, con la regia di Silvio Laviano, sui testi di Tino Caspanello, Rosario Palazzolo, Lina Prosa, Luana Rondinelli e Rosario Lisma, scritti proprio per interrogarsi sul valore del teatro e sulla sua necessità, o ad esperimenti come lo spettacolo trasmesso in diretta su Zoom “La mia esistenza d’acquario” di Pier Maria Rosso di San Secondo, con la regia di Lydia Giordano.

È partita la nuova stagione, “Guardate le stelle”. Quali i suoi punti cardine?
Il titolo che abbiamo scelto per la stagione, “Guardate le stelle”, è proprio un invito a tornare a cercare la bellezza. Dire ai nostri spettatori, agli attori, alle maestranze, a noi stessi “Guardate le stelle” in questo momento storico. Significa scegliere per il teatro un ruolo preciso in un tempo che ci ha dato la misura della nostra fragilità, come persone e come lavoratori: significa ribadire che porsi domande importanti, tendere verso l’alto, sono adesso più che mai una sfida e un’opportunità. Offriremo al pubblico spettacoli di qualità con grandi artisti di teatro come De Capitani, Orsini, Finocchiaro, Villoresi, Livermore, Ghiaurov, Delbono e molti altri, ma inviteremo gli spettatori a scoprire anche i nuovi talenti a cui crediamo si debba dare l’opportunità di costruire la nuova identità del teatro di domani.

Lo spettacolo di apertura, “Donne in guerra”, segna anche una linea fatta di storie da raccontare, spazi da rivoluzionare, luoghi da attraversare in modo nuovo. “Donne in guerra” racconta con drammatica forza esperienze differenti di donne, tutte protagoniste non al fronte ma nelle pieghe della vita. Un racconto che non strizza l’occhio al presente ma al contempo è carico di contemporaneità. Com’è stato allestire nuovamente lo spettacolo?
Aprire la stagione con “Donne in guerra” è stata una scelta dettata proprio dal momento storico. Si tratta infatti di uno spettacolo che non può fare a meno del pubblico e in cui proprio il pubblico diventa parte del racconto, protagonista di un’interazione, di una relazione con le sei attrici protagoniste. Abbiamo sovvertito gli spazi tra palco e platea per creare un unico spazio condiviso. E al centro della sala gli spettatori hanno trovato un binario ferroviario attraverso cui sono stati immediatamente spinti dentro la scena, trasportati nell’estate del 1944, a compiere un viaggio fisico ed emotivo insieme alle sei donne di cui abbiamo raccontato le storie.
Nel momento della riapertura avevo bisogno di parlare al pubblico con questa intensità: volevo dare agli spettatori la possibilità di tornare nella dimensione concreta, viva e fisica del teatro.

Ad accompagnarlo una mostra, eventi collaterali: è questo il teatro che immagina per la città?
È questo il Teatro non che stiamo immaginando ma che stiamo già realizzando: uno spazio che accoglie allo stesso tempo diverse espressioni dell’arte e molteplici opportunità di dibattito, punto di riferimento per la costruzione di una coscienza civica individuale e collettiva, momento di incontro, di confronto e crescita culturale. Sì, proprio gli eventi collaterali a “Donne in guerra” lo dimostrano: nel Ridotto il collettivo artistico delle Maletinte, tutto al femminile, ha interpretato il tema con un’installazione artistica nel segno della rinascita, attraverso il recupero di oggetti di scena del vecchio magazzino, mentre in Sala la vicepresidente Lina Scalisi [che ha concluso il suo mandato il 3 novembre 2021, ndr] ha promosso un dibattito di estrema attualità sulle “donne in guerra” nell’Italia di oggi, con ospiti di grande rilievo, che ci hanno aiutato a leggere le conseguenze del divario di genere nella costruzione del futuro della nostra società.

Tornando al cartellone, come si è orientata per costruirlo?
Come dicevo, si tratta di un cartellone molto ricco, con oltre venti spettacoli fino a luglio del 2022. Dopo “Donne in guerra” il filone dedicato alla presenza femminile nella storia proseguirà ancora nel corso della Stagione con “Tina&Alfonsina” di Claudio Fava a dicembre, “Jezabel” dal romanzo di Iréne Nèmirovsky con Elena Ghiaurov a gennaio, “La pazza di Chaillot” interpretata da Manuela Mandracchia a marzo, e altri due grandi recuperi dallo scorso anni: “Viva la Vida” con Pamela Villoresi su Frida Khalo e “Il filo di Mezzogiorno” con Donatella Finocchiaro su Goliarda Sapienza.
Attraverseranno la Stagione altre prestigiose produzioni e co-produzioni come “Diplomazia” con Elio De Capitani a novembre, “Enrico IV” diretto da Yannis Kokkos con Sebastiano Lo Monaco a dicembre, il recupero di “Baccanti” a gennaio (che poi andrà in tournée nazionale) e di “Servo di Scena” diretto da Guglielmo Ferro a marzo, spettacolo che conclude l’ampio percorso dedicato a Turi Ferro fin dai primi mesi del 2021.
Tra le produzioni ci saranno, in autunno, anche due progetti speciali: “Anima Mundi” di Piero Ristagno, con la Compagnia Nèon, un progetto di teatro e inclusione sociale; e “Tornati (a) casa” per tempo diretto da Nicola Alberto Orofino, che sarà una vera e propria serie teatrale in quattro puntate, con un mini abbonamento dedicato.
Altri grandi ospiti saranno Daniele Russo con “Le 5 rose di Jennifer” e Umberto Orsini e Franco Branciaroli con “Pour un oui ou pour un non” a febbraio, Pippo Delbono con “Amore” e Davide Livermore che dirigerà “Grounded” ad aprile e infine Luca De Fusco con “La Locandiera” a maggio.

Ha intrapreso anche una collaborazione con il Biondo di Palermo, in un’ottica di dialogo sempre vivo. Quali le collaborazioni in programma?
Siamo stati e siamo impegnati insieme in diverse co-produzioni: quest’estate abbiamo portato in scena “‘A Cirimonia”, con la compagnia Vetrano-Randisi, già vincitore del Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici Italiani, e ora stiamo lavorando insieme a “Enrico IV”. Il rapporto di proficua affinità e collaborazione è anche nel segno del comune desiderio di investire su un nucleo di artisti siciliani capaci di rendere contemporanea l’identità teatrale dell’isola.

Avete aperto anche un nuovo spazio, con una stagione chiamata “Numero Zero” e dedicata a progetti innovativi, ai giovani, alla Sicilia, tra sperimentazione e impegno civile. Come è nata?
Il Teatro Stabile di Catania ha sempre avuto una seconda sala, che tuttavia era andata perduta durante la crisi del 2016. Cinque anni dopo siamo riusciti a trovare un nuovo spazio. La Stagione “Numero Zero” avrà 16 appuntamenti, molti dei quali inseriti in progetti speciali e molte attività che coinvolgeranno le scuole, dalle elementari alle superiori, sempre accompagnati da iniziative collaterali, laboratori, incontri con gli artisti per le classi. Ci saranno moltissimi spettacoli di teatro civile e alcune tra le più interessanti espressioni della creatività siciliana. Vogliamo dedicare questa sala soprattutto alle novità e al territorio, con una vocazione verso le giovani generazioni e il pensiero rivolto al pubblico di domani.

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