Le conversazioni di Anna K. Ugo Chiti racconta la sofferenza della diversità

Giuliana Lojodice
Giuliana Lojodice
Giuliana Lojodice è Anna (photo: Lorenzo Bojola)

È una famiglia normale, comune, quella che è seduta al tavolo della colazione: padre, madre e figlia. Un padre alto, robusto, dalla voce profonda, pretenzioso d’esser ben servito; una madre altrettanto robusta, attenta ad ogni minimo dettaglio; infine la figlia, più esile, allegra, disinvolta, che inizialmente serve la colazione sostituendo la governante, sempre in ritardo.

Quando si apre la porta è proprio Anna, la governante, ad entrare: anziana signora dalla schiena stanca e addolorata eppure energica e sempre di corsa. Contro di lei si alzano i rimproveri della voce possente del padre, iniziano le osservazioni dell’occhio acuto della madre, mentre nessuno (tranne Anna) si è ancora accorto che Gregor, figlio primogenito, impiegato di primo livello e di buono stipendio, non si è alzato.
Si allarma il padre, si allarma la madre, il figlio non apre la porta. Dalla stanza escono suoni strani, indecifrabili, come di tante zampette che battono sul pavimento. Nel frattempo suonano alla porta: il procuratore è venuto dal lavoro per informarsi del ritardo di Gregor. Presi dal panico forzano la porta della stanza e, al posto del figlio, troveranno qualcosa di mostruoso.

Inizia così “Le conversazioni di Anna K.”, ispirato al famosissimo racconto di Franz Kafka “La metamorfosi”, e testo vincitore della 49^ edizione del Premio Riccione per il Teatro.
Ugo Chiti torna ad affrontare Kafka dopo altri due diversi allestimenti della “Metamorfosi”, ribaltando stavolta il punto di vista nella vicenda di casa Samsa per tracciare la personalità di Anna, l’anziana vedova assunta dalla famiglia.

La prospettiva narrativa viene sapientemente ricostruita proprio attraverso lo sguardo della governante, unica presenza capace di imbastire un rapporto umano con quel che del figlio resta. Sono le conversazioni di Anna con Gregor che ci permettono di sentire e visualizzare quell’insetto gigantesco, brutto, orribile, davanti a cui tutti si indignano, si vergognano, ma di cui solo Anna coglie la sofferenza e il dramma. Solo lei è capace di guardarlo, di accudirlo, come fosse una persona malata. La madre sviene al solo sguardo, il padre è capace di infuriarsi gettando la sua ira e le frustrazioni contro un figlio incapace, ora, di portare il pane a casa. La sorella teme ciò che gli altri pensano della sua famiglia e così tiene lontano tutti, per poi convincersi dell’altrui ‘maladiceria’.
La bellezza delle scene riesce a raccontare al meglio la spigolosità del dramma, il senso angusto del pensare della famiglia contrapposto alla spazialità emotiva di Anna, che tra pareti che ridisegnano i perimetri di una famiglia riesce a trovare sempre il centro e l’ampiezza eterna del conversare.

L’odio ma soprattutto il sentimento di vergogna che si costruisce piano piano intorno a Gregor, porteranno il povero figlio a morire di dolore. Una morte che libererà la famiglia, svelandola per quella che era già prima: debole e vigliacca, schiacciata come un insetto dal peso del ben pensare e di quella morale assurda che regola una società intera.

Le conversazioni di Anna K.
liberamente ispirato a “La metamorfosi” di Franz Kafka
testo e regia: Ugo Chiti
con: Giuliana Lojodice, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Savianti, Lucia Socci, Alessio Venturini
scene: Daniele Spisa
costumi: Giuliana Colzi
musica originale e adattamento: Vanni Castori e Jonathan Chiti
luci: Marco Messeri
durata: 2 h
applausi del pubblico: 4’ 45’’

Visto a Roma, Teatro Eliseo, il 1° febbraio 2009

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