In una domenica pomeriggio a Drodesera brulicante di attesa, tra due chiacchiere nel parco e una sosta alla gallery Almost Nite, può capitare di assistere, nei pressi della biglietteria, a visitatori non più giovanissimi, estremamente dispiaciuti di non riuscire a partecipare ad uno spettacolo a causa del tutto esaurito (in realtà alla fine ci riusciranno, grazie alla lista di attesa).
Nessuna sorpresa se lo spettacolo in questione è il nuovo lavoro di Marta Cuscunà, giovane promessa della Fies Factory, in grado di attirare l’attenzione di un pubblico appartenente a generazioni differenti.
Dopo “E’ bello vivere liberi”, Marta Cuscunà conferma il suo talento proseguendo il viaggio sul tema della Resistenza femminile con due vicende del passato italiano, la storia della monaca di clausura Angela Tarabotti e quella delle Clarisse di Udine, ambientate tra il Cinquecento e il Settecento.
Lo spettacolo, presentato a Fies in forma di studio per il debutto del 31 agosto a Bassano, prende spunto da un libro, “Lo spazio del silenzio”, di Giovanna Paolin, che tratta l’utilizzo dei conventi a fini economici, quando i padri, per risparmiare la dote, mandavano le figlie in convento anziché farle sposare.
Il libro testimonia la denuncia della Monaca sulla forzata clausura, per volontà di un potere unicamente maschile, che decise di raccontare le proprie esperienze in più di un libro.
Ma si parla anche della scelta delle Clarisse di Udine, che trasformarono la loro clausura, e quindi la privazione della libertà, nella libertà di essere ciò che fuori non avrebbero potuto, costruendo all’interno del convento un nuovo modello di società.
Con un unico monologo Marta Cuscunà irrompe nella scena, altrimenti occupata solo da un crocifisso e da sei bambole-suore, raccontandoci con eccezionale bravura e ironia un’epoca difficile del passato italiano, quando la donna era esclusa da qualunque partecipazione alla vita sociale e commerciale e veniva considerata al pari di un bene di scambio.
Primo merito di questa giovane autrice è sicuramente la scelta del teatro civile. In un presente abitato da giovani intorpiditi da nuove forme di regimi, causa di dispersione di interessi e di iniziative, la Cuscunà sceglie per contraccolpo di porre l’accento su personaggi di un passato lontano – e per questo anche più difficile – che trovarono vie alternative al modello sociale che veniva loro imposto.
Marta conquista però anche per il linguaggio personale, con cui riesce a smontare i codici di uno stile ormai estremamente consumato. Versatile, vitale e completamente padrona della scena, si trasforma in una galleria di voci, accenti e personaggi che vanno dall’infelice ragazza al vecchio parroco, senza permettere mai al pubblico di distrarsi e senza cadere in luoghi comuni, e la scena apparentemente scarna diviene di colpo abbondante grazie anche a una destrezza di luci che sostengono la narrazione.
Rilevante, infine, la scelta dell’utilizzo del teatro di figura, grazie ai bellissimi pupazzi realizzati da Belinda De Vito, che la Cuscunà riesce ad animare ognuno con la propria personalità, riportando alla luce elementi di un teatro artigianale quasi dimenticato ma non per questo meno apprezzabile.
Lo spettacolo si rivela quindi una riflessione riuscita sulla memoria, sulla collettività e sulle possibili vie di opposizione che possono tradursi in tematiche di attualità politica e sociale, tendendo un filo potenziale tra passato e futuro, non soltanto nella realtà sociale ma anche su quella scenica.
LA SEMPLICITÀ INGANNATA. SATIRA PER ATTRICE E PUPAZZE SUL LUSSO D’ESSER DONNE
concept: Marta Cuscunà
con: Marta Cuscunà
pupazzi e oggetti di scena: Belinda De Vito
assistente alla regia: Marco Rogante
coproduzione: Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto
durata: 40′
applausi del pubblico: 1’ 55’’
Visto a Dro, sala Turbina 2 – Centrale Fies, il 22 luglio 2012