Citando Francesco Pititto, leader della compagnia e principale creatore dell’opera, l’imagoturgia è “un neologismo coniato per meglio delineare una funzione, un lavoro che facesse procedere di pari passo drammaturgia e immagini, l’una scivolare nell’altra, entrambe a mutarsi in opera fisica con e dentro il corpo dell’attore”.
Ricombinando frammenti gravitanti intorno al lavoro fatto dalla compagnia parmense su progetti come “Hamlet”, “Aeneis” e “I Promessi Sposi”, nei quali sono protagonisti e materiale drammaturgico quegli attori che hanno segnata sulla loro pelle e nei loro sguardi la lunga degenza in strutture di “recupero psichico”, l’Imagoturgia si fa vivisezione di carne peritura ma ancora senziente, vivente nel farsi e disfarsi davanti l’obiettivo della macchina da presa.
Il “lavoro”che dà senso alla visione e all’esperienza – rifacendomi qui al concetto di “ergon” esplicato nelle note di regia -, sta tutto nel nostro rapportarci con lo sguardo a quei corpi scolpiti dalla luce e inoltre guidati o contraddetti nella drammaturgia da quel ruolo preponderante che assume la partitura sonora di Andrea Azzali_Monophon, contrappuntistico reagente al grottesco o al perturbante della visione.
Francesco Pititto parla a ragione di fisicità indicando paradossalmente la superficie bidimensionale con cui ci confrontiamo come materia plasmabile, alla stregua di un’immagine-scultura. Nell’impiego insistito e insinuante del primo piano, la materia umana, corpo e nervi in procinto di incidere a fondo il nostro immaginario, sono essenzialmente nudità e carne in movimento, grazia fenomenica che non ha bisogno di un compendio didascalico per meritare contemplazione e stupore.
In un meccanismo di continuo scambio e avvicendamento di luoghi e situazioni (tutti interni più o meno teatrali), la messa in scena più studiata (corpi nudi immersi nel nero, mossi da impulsi animali, mutilati per il gioco di luci che ne rimodella le forme: la scena dell’allattamento ad esempio) risente di maggior “pre-meditazione” e minor intensità di quei momenti di “verifica incertissima” giostrati intorno a quegli ”attori sensibili” che, nel loro svestirsi/rivestirsi o nel loro forsennato make up davanti ad uno specchio, offrono un magnifico test di (in)efficienza e verità. Freaks riscattati nella loro quotidiana dignità, senza l’imposizione di una posa.
Queste caotiche rifrazioni d’immaginario, decaduti i riferimenti di tempo e azione, unità disciolte in un ritmo che esige attenzione prolungata, riconquistano la superficie ad un secondo livello: quello della materia digitale, adoperata e rimanipolata come ulteriore attore della drammaturgia. L’ingrediente digitale tende a sperimentare nuove ipotesi di orrida bellezza: sovraesposto e ipercontrastato, ha una vividezza pixelizzata virante, a tratti, verso l’astratto di corpi che perdono la loro matericità, e in altri casi verso una deformazione tanto della materia stessa (pelle deformata, ritagliata, spixelata, scontornata o infine negata) quanto anche del “quadro” (il 16:9 che diventa una sottile e stretta striscia verticale, sacrificando la grazia delle proporzioni umane).
Chiarificando, ciò che può esaltarci o irritarci in un’opera come questa è il piacere o il disagio di star a contatto prolungato con corpi immersi in una loro fragile intimità, dimentichi della necessità di comunicare ma anche di quella di s-comunicare, colti piuttosto in un loro difforme habitat scenico “registrato” in fase di ripresa e manomesso in fase di montaggio dall’abilità di un “immagoturgo” irrequieto.
Imagoturgia della grazia
da Hamlet, Aeneis e I Promessi Sposi di Lenz
Imagoturgia Francesco Pititto
musica Andrea Azzali_Monophon
interpreti Valentina Barbarini, Liliana Bertè, Franck Berzieri, Giovanni Carnevale, Guglielmo Gazzelli, Paolo Maccini, Luigi Moia, Delfina Rivieri, Vincenzo Salemi, Elena Sorbi, Carlotta Spaggiari, Elena Varoli, Barbara Voghera
cura e organizzazione Ilaria Montanari, Elena Sorbi, Paolo Pediri
promozione e comunicazione Eleonora Felisatti
produzione: Lenz
durata: 40’
applausi del pubblico: 1′
Visto a Roma, Short Theatre, il 7 settembre 2013