Les Adieux. Con Benedetto Sicca inghiottiti dall’incubo di un’epoca

Les Adieux
Les Adieux
Les Adieux (photo: teatrofestivalitalia.it)

“Regna una confusione senza paraventi”. Lo urla la protagonista de “Les adieux”, testo di Arianna Giorgia Bonazzi (Fandango 2007), da cui è tratto il lavoro teatrale omonimo di Benedetto Sicca. Lo spettacolo debutta quest’anno al Napoli Teatro Festival, che lo produce insieme al CSS Teatro stabile di innovazione del FVG.
È il monologo interiore di una ragazzina che vive la sua infanzia negli anni Ottanta, un intreccio di frasi sconnesse, riflessioni e ricordi che il regista ha voluto trasformare visivamente nel linguaggio teatrale. “È un testo che parla di me”, spiega il regista. L’idea nasce già tre anni fa, e quasi subito la soluzione scelta è stata quella di utilizzare la tecnologia della stereoscopia 3D, realizzata da Marco Farace e l’Insomnia Team. Può sembrare strano parlare di teatro 3D, quando il teatro è per eccellenza un’arte tridimensionale. Ma forse, a maggior ragione, in questo caso le immagini stereoscopiche più che avvicinarci ci allontanano dalla realtà, facendoci sprofondare nel mondo dell’onirico e dell’inconscio.

Come un enorme specchio di Alice, le fantasie e la memoria della protagonista, interpretata da Francesca Ciocchetti, si riflettono nello schermo, incorniciato da quello che sembra un intreccio di radici, dietro cui la bambina si arrampica, salendo e scendendo dalla propria fantasia. Il testo ci parla di un mondo claustrofobico, dove gli elementi di una famiglia (il papà scienziato, la mamma gialla, la nonnina che non morirà mai) sembrano personaggi di una favola, a tratti spaventosi, a tratti rassicuranti. Non c’è un filo conduttore, se non il continuo affiorare nella mente di ricordi ed emozioni, volutamente sconnessi, lasciando allo spettatore il compito di completare le informazioni come vuole, di interpretarle o fraintenderle, di dimenticarle e confondersi, proprio come la stessa protagonista fa con la sua vita. Non è facile seguire le frasi poetiche e visionarie, fatte di associazioni libere tipiche del linguaggio dell’infanzia, che connettono tra di loro dimensioni lontane e parallele, mettendo a volte a rischio la concentrazione dello spettatore, effetto assolutamente cercato.

La bambina è più piccola della propria stessa memoria, la fantasia la sovrasta. I suoi sentimenti sono al tempo amici immaginari e dolore da sciogliere con una risata, che si ferma un attimo prima del pianto e della follia. Un uccello immaginario, che sembra una fenice – l’unica figura della mitologia pagana che resuscita, fa notare il regista – ci vola incontro spaventandoci per poi invitarci a seguirlo in una profondità che è solo illusoria, in cui possiamo volare senza muoverci dalle nostre poltrone. L’uccello è un simbolo potente che è venuto da sé, è comparso ed è diventato subito un elemento intrinseco dello spettacolo. La tecnologia non è una soluzione di comodo, anche se può essere facile cadere nella trappola dello spettacolare. Ma qui invece tutto è misurato, dolcemente accompagnato dagli elementi sonori, che guidano la nostra fantasia e le nostre emozioni. Vedere questo spettacolo è un po’ come aprire un vaso di pandora, che ha la forma di un carillon dove la ballerina ruota incessantemente intorno a se stessa. È uno spettacolo che si completa man mano che il tempo e le immagini si sedimentano in noi, apre uno squarcio che si costruisce nella nostra memoria.

Dallo schermo emergono le polaroid di un tempo in cui la tv si impadroniva sempre più dei nostri occhi e dei nostri spazi fantastici, in cui assume un peso esistenziale la domanda: “Chi ha ucciso Laura Palmer?”. Generazioni si identificano nello sguardo ambiguamente innocente di una ragazza inghiottita dagli incubi di un’epoca. Il racconto si concentra su una famiglia che si vuole bene e si fa comunque del male, in cui uno scherzo rivela il crollo di un sogno, di una speranza, diventa un’occasione per sempre persa, in cui le babysitter sono donne con il volto di un televisore, streghe che complottano di uccidere i nonni. In cui non c’è vero o falso, causa ed effetto. L’unico fatto inesorabile è la fine delle persone intorno a noi, che vorresti non se ne andassero mai. La memoria e i nostri sentimenti ci aiutano a vivere, ma ingannano continuamente. È come navigare a vista, galleggiare senza imparare mai come ancorarsi al suolo. Il presente non è più lontano di un passato che la mente e il tempo hanno ormai sfigurato.

LES ADIEUX
di Arianna Giorgia Bonazzi
adattamento e regia: Benedetto Sicca
con: Francesca Ciocchetti
produzione CSS: Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia in coproduzione con Napoli Teatro Festival Italia, Insonnia Team con il sostegno di Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etno-Antropologici per Napoli e Provincia
durata: 1h 20′

Visto a Napoli,
Teatro San Ferdinando, il 7 giugno 2010
Napoli Teatro Festival Italia – prova aperta

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  1. says: lu gag

    un testo di un’autrice “barbara”,cito Baricco ,a teatro..peccato che la messa in scena tradisca totalmente..male recitazione , inutile 3d

  2. says: ciro

    E’ un non spettacolo, del tutto autoreferenziale. Testo ampolloso e recitazione forzatamente da “teatro sperimentale”.
    Del tutto immotivato l’uso del 3D.

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