Dopo una perdita di memoria dovuta ad una grave crisi di epilessia, Mark Ravenhill, affermato drammaturgo della nuova scena inglese, è turbato dalla percezione che la propria vita possa avere un buco al suo interno. Lo scrittore d’un tratto si rende conto di quanto “un senso della vita reale e lineare, fatto di piccole e grandi esperienze che si susseguono una dopo l’altra, sia essenziale per dare forma al senso di chi noi siamo”.
E’ da qui che ha inizio la brama di racconti di vita di Ravenhill. Quindi l’incontro con Bette Bourne e il desiderio di capire quale sequenza di avvenimenti abbiano reso il grande performer inglese “Just Bette!”.
“A Life in Three Acts” nasce come dialogo tra i due artisti anglosassoni per diventare, sulla scena, il racconto iconografico della vita di Bette Bourne. L’icona Bette, la cui immagine del viso ritratto in una fotografia in bianco e nero dai capelli grigi, lo sguardo fisso e un filo di rossetto appena accennato (lo vedete qui a fianco), ci accoglie in tutta la sua grandezza sin dal nostro ingresso al Teatro della Tosse di Genova.
Le luci non sono ancora spente quando già percepiamo una strana sensazione di familiarità. Come conciliare tale percezione con l’idea dell’icona gay, della splendente Drag Queen? Eppure quel vecchio tappeto rosso adagiato sul palco accoglie solo una poltroncina, un leggio e un piccolo tavolino bianco su cui poggia un’innocente tazza da tè e una scatola di fazzolettini – non ci sarà mica da commuoversi?!
In un attimo ciò che prima era solo un’immagine fotografica si fa carne ed ossa, e la fondatrice delle Bloolips entra in scena. In stile tra Quentin Crisp e signora settantenne inglese dal completo nero (con tanto di moderati brillantini e scarpe da tip tap) va a sedersi al leggio per dare inizio al racconto della propria vita.
Nel breve arco di un’ora e quaranta, tra momenti personali e partecipazione sociale, saremo dolcemente trascinati nella straordinaria essenza di Bette Bourne (che nel 2009, per questo spettacolo, ha vinto l’Herald Archange Award al Fringe Festival di Edimburgo).
In un clima di intima complicità, ironia, gioco e inaspettata commozione la performer ci svelerà, tra un sorso di tè e l’altro, le sue origini, la madre dall’aspetto angelico che trasmetteva grande allegria e voglia di vivere, il padre che le faceva violenza (“I was terrified of him for most of my life until I got my frock on!”), e anche quel clima d’ipocrisia sociale della Londra degli anni ’60, per cui lo stesso padre non andò a veder Bette recitare all’Old Vic perché spaventato di quello che la classe media diceva di quel luogo. E, ancora, sentiremo parlare di Rex, il suo primo amore che lo introdurrà alle riunioni del Gay Liberation Front, di cui diverrà uno dei massimi esponenti negli anni ’70, della prima uscita a Trafalgar Square vestito da donna e del forte impegno per i diritti degli omosessuali. Passando per i ricordi di vita in una comune di Drag Queen, l’Aids che dilaga arrivando ad uccidere un centinaio di suoi amici, fino ad arrivare alla nascita della compagnia Bloolips e all’oggi.
Settantuno anni vissuti con coraggio, onestà, in piena libertà, conquistata grazie alla progressiva comprensione del mondo e di se stessi. Un racconto sommesso, a volte bisbigliato, eppure incredibilmente intenso; una carrellata di immagini fotografiche in bianco e nero dagli anni ’40 ad oggi, qualche canzone accennata dai passi di tip tap e un artista magnetico che non ha bisogno di nient’altro “to be noticed”!
A LIFE IN THREE ACTS
scritto da Bette Bourne e Mark Ravenhill
con: Bette Bourne
regia: Mark Ravenhill
produzione: London Artists Projects Production (Gran Bretagna)
durata: 1h 40′
Visto a Genova, Teatro della Tosse, il 15 dicembre 2010