L’Ivanov di Cechov. O il bello di vivere per Filippo Dini

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Ivanov (photo: Michele Lamanna)|I protagonisti di Ivanov (photo: Michele Lamanna)
Ivanov (photo: Michele Lamanna)
Ivanov (photo: Michele Lamanna)

Forse Cechov sarebbe rimasto inorridito da questa versione del suo primo vero esordio sulla scena, ma non meno entusiasta di come il suo dramma di debutto possa ancora offrire una esuberanza così vitale di ispirazione.

Filippo Dini, nella sua direzione di questo “Ivanov”, non intacca l’impietoso ritratto cechoviano di un uomo assediato dalla noia, dall’insoddisfazione cronica, dall’inettitudine nei rapporti sociali e umani, in breve dal suo male di vivere, ma fa tracimare quelle trame sottili e impalpabili che compongono un’architettura di stravaganti soggetti e divagazioni stranianti, quasi rivoltando l’opera nel suo doppio farsesco.
Anton Cechov aveva già inserito in questa sua prima opera tutti gli elementi e i temi che verranno poi svolti nei sui testi maggiori: l’uso espressivo degli intervalli e delle pause, le linee di pensiero multiple, la maniacalità psicanalitica nel precisare ogni dettaglio, la minuzia della resa realistica…

In questa co-produzione tra Fondazione Teatro Due di Parma e Stabile di Genova si esaltano le pieghe tragicomiche di una drammaturgia dipinta come un affresco di angosce senza scampo, di noia e depressione, invertendo la polarità dell’introspezione psicologica in una sublimazione di comicità estrosa e humour grottesco.

Nicolaj Ivanov, interpretato dallo stesso Filippo Dini, è un uomo “superfluo”, alle prese con il vuoto che lo circonda. Le sue aspirazioni intellettuali, unite al senso d’impotenza, fanno di lui un eroe negativo, incapace d’affrontare la crisi. Sua moglie Anna si ammala ed è vicina a morire, eppure lui l’abbandona e si disinteressa anche del rimettere in sesto l’amministrazione della sua proprietà.
Saša, giovane figlia di proprietari che vivono nel circondario, ama Ivanov, e dopo la morte di Anna tutto è pronto per nuove nozze. Ivanov però avverte la propria inadeguatezza di fronte a questo amore, che pur condivide, e sente il peso del sacrificio che la giovane donna sta per affrontare sposandolo.
Così all’ultimo momento sfuggirà al nuovo impegno sparandosi un colpo di pistola.

Intorno a questi personaggi si muove un’umanità disillusa, priva di ideali e senza speranze nel futuro. L’unica loro attività consiste nel ritrovarsi a giocare a carte o organizzare tristi feste in cui si mangiano aringhe e cetrioli e si sparla di tutto e tutti. Neppure i personaggi positivi come Anna, Saša e il medico L’vov Evgenij Konstantìnovič si salvano da questo naufragio, e il bene che pensano di fare riesce ad essere ancor più negativo dell’indifferenza e del cinismo degli altri.
E’ un piccolo mondo senza speranza in cui gli uomini sono condannati a vivere, quello disegnato da Cechov, e dove neppure la decisione di Ivanov d’uccidersi assurge a dramma, ma si stempera nell’ultima, inutile, fuga dalle proprie responsabilità.

I protagonisti di Ivanov (photo: Michele Lamanna)
I protagonisti di Ivanov (photo: Michele Lamanna)

Nella regia di Dini questo manto di decadenza sedimentata si frantuma di fronte a una irruenta empatia che si instaura tra scena e platea, dovuta sostanzialmente all’impossibilità di chi assiste a non provare una divertita affinità verso gli strambi personaggi meta-cechoviani che sguazzano sul palco. Personaggi che riescono a delineare lo squallore delle indegnità umane in una festosa rassegna di caratteri beffardi, dai ritmi comici puntuali, senza mai fuggire da quella penombra di declino e degrado che l’autore russo aveva ideato per il suo dramma.

Questi affanni esistenziali sono racchiusi in una scenografia mobile, che transita dagli esterni agli interni ma sempre in un involucro di grigio cemento, spazi angusti per quanto aperti dove noia e insofferenza possono solo diffondersi, come all’interno di un recinto.

Filippo Dini si cuce addosso un Ivanov quasi sornione, patetico nei suoi fallimenti ma consapevole di contagiare anche gli altri con la sua mediocrità: il seme nero delle proprie povertà spirituali è saldamente germogliato anche nel grembo dei suoi compagni di viaggio.
È un Ivanov che, per quanto sarebbe stato impensabile per Cechov, esiste nei silenzi della sua scrittura.

IVANOV
di Anton Cechov
traduzione: Danilo Macrì
con: Valeria Angelozzi, Sara Bertelà, Filippo Dini, Ilaria Falini, Gianluca Gobbi, Orietta Notari, Nicola Pannelli, Fulvio Pepe, Ivan Zerbinati
musiche: Arturo Annecchino, Luca Annessi (assistente)
scene, costumi: Laura Benzi
luci: Pasquale Mari
assistente alla regia: Carlo Orlando
regia Filippo Dini
produzione: Fondazione Teatro Due, Teatro Stabile di Genova

durata: 2h 54′ con intervallo
applausi del pubblico: 4′ 05”

Visto a Parma, Teatro Due, il 14 febbraio 2015

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