Loop di Livello 4: Sisifo per parlare di noi ventenni

Livello 4 (photo: Angela Marangon)
Livello 4 (photo: Angela Marangon)

Torniamo indietro, ai primi giorni del Festival Opera Prima, che a Rovigo ci ha fatto scoprire un debutto degno di nota nonostante la giovane età della compagnia: non c’è infatti spettatore che non sia rimasto stupito dalla maturità di “Loop. Studio intorno al mito di Sisifo”, presentato dalla compagnia di ventenni Livello 4, con la regia e drammaturgia del trentatreenne Alessandro Sanmartin.

Ci si sarebbe potuti aspettare di trovarsi di fronte ad un tentativo al limite di quelle realtà un po’ raffazzonate, in cui si sente ancora forte la provenienza dalle realtà pseudo-teatrali di tipo laboratoriale; invece nulla di tutto questo. Anzi, sin dalla prima entrata in scena dei performer, con una scelta accorta dei costumi sui toni del crema, tutto si proietta in una dimensione di maturità scenica e drammaturgica che mostra di districarsi al meglio con i materiali della regia, colpendo nel segno per quanto riguarda la capacità di intuire su quali elementi sia oggi davvero interessante puntare.

Il lavoro, che fa dialogare teatro e danza, inizia proprio con Sanmartin a fondo scena, in piedi, di fronte ad un microfono collegato ad una loop station, elemento che da subito immerge nella contemporaneità la rivisitazione dei temi del Sisifo, emblema dell’uomo ingannatore e scaltro, condannato a spingere un pesante masso per l’eternità: un modo di tornare al mito e alla sua problematizzazione di matrice camusiana, quello di Livello 4, che ci ha particolarmente convinto per l’originalità e la carica di novità, una novità che è tale anche poiché mostra di essere la seria espressione del nuovo modo di vivere e rivivere quei temi che soltanto un’altra generazione poteva produrre.
In “Il mito di Sisifo. Saggio sull’assurdo”, scritto da un Albert Camus non ancora trentenne e pubblicato nel 1942 da Gallimard, Camus nega ogni valore al significato trascendente della vita e del mondo, e riconosce quindi come assurda l’esistenza stessa: senza un significato, l’esistenza è irrazionale e a noi estranea. Resta quindi il suicidio, ma quello “fisico” non risolve il problema del senso; mentre quello spirituale svia dal vero problema. La soluzione, per Camus, è allora la “sopportazione” della propria presenza nel mondo, una “sopportazione” che consente la libertà, e allo stesso tempo la “protesta/ribellione” nei confronti dell’assurdità dell’esistenza.

Inserendosi in questo contesto, “Loop” racconta che i problemi sentiti dai nuovi giovani non sono gli stessi delle generazioni precedenti: fa riflettere su come, per quanto possano essere differenti e apparentemente più sentimentali, questi problemi hanno una loro alta e nuova dignità, una dignità che li rende argomenti necessari per la creazione di un teatro nuovo, presente e prossimo ad una realtà sentita come propria, che non si ha paura di affrontare partendo da una riattivazione dei migliori lasciti della tradizione del passato, quali appunto quelli del mito di Sisifo.

Questi lasciti diventano di fatto, in scena, i ruderi di una modernità passata: lo si pensa in particolare quando, su una musica dal carattere anche scenografico, sempre intenso e potente – che mostra anche l’influenza dell’arte cinematografica di massa – i performer si affannano in movimenti contratti e bloccati, reiterati e costantemente riportati all’indietro, accasciandosi e alzando folate di un vento terroso che li lascia poi con dei vestiti che hanno tutto il carattere di sopravvissuti a qualche forma di guerra o apocalisse. Una lotta, inscenata tramite una ripetizione dei movimenti che si abbina a parole recitate soltanto per emersioni disperate, che è di fatto la battaglia portata avanti per continuare a ripetere e ripetersi.
La coscienza principale, come sottolinea Sanmartin, è quella di sapere che la propria generazione, tra gli sprazzi di una comprensione che manca di concretizzarsi in modo pieno e fluido, e sempre più lontana dalle solide certezze delle generazioni precedenti, ha una sorta di ‘data di scadenza’.
Un peso che si concretizza qui in azione drammaturgica e registica con un equilibrio perfetto fra testo e corporeità, creando uno studio site-specific di 24 minuti che sembra durare molto di più, per la capacità di dilatazione dei punti fisici e mentali toccati, obiettivo non facile da conseguire fuori dagli spazi astrattivi del teatro, e invece qui presentato all’aperto, in un giardino pubblico con qualche passante sullo sfondo.

Giusto per citare il punto più riuscito del testo, rimane impressa la battuta di una delle performer che, dopo i primi momenti del lavoro di sola gestualità e sperimentazione sonora tramite la loop station attivata dalla voce di Sanmartin, si sente esplodere in un urlato: “Basta. Non lo voglio più fare”. E’ qui che le ottime (per la giovane età) capacità attoriali e performative di Vittoria Rossino, e di tutti gli altri in scena, Marco Pasquale, Maria Perardi, Anna Peretto, Leonardo Zaupa, stupiscono e arrivano dritto al punto della problematizzazione aperta dallo spettacolo, tanto verso i temi della tradizione, quanto verso il sentire dei nuovi spettatori di teatro.

Il lavoro ci ha insomma davvero stupito e convinto, oltre a tutto il resto, per la capacità di creare un nuovo polo attrattivo nel teatro verso un insieme di spettatori, i più giovani, che spesso faticano a trovare spazi di ascolto, incontro e rispecchiamento nella grand’attorialità e nella retorica proprie della maggior parte del teatro. Il lavoro di Livello 4, facendo ben sperare per il loro futuro, dimostra quindi – sorprendentemente, rispetto alla loro età – di aver capito con estrema radicalità quale possa essere una via possibile (forse l’unica?) per portare e praticare una reale novità nel teatro contemporaneo.

LOOP. Studio intorno al mito di Sisifo
Livello 4
regia: Alessandro Sanmartin
con: Marco Pasquale, Maria Perardi, Anna Peretto, Vittoria Rossino, Alessandro Sanmartin, Leonardo Zaupa
foto: Angela Marangon

Visto a Rovigo, Festival Opera Prima, il 10 settembre 2020

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