Lo spettatore condannato a morte. Visniec e Rosso in un progetto di teatro partecipato

Lo spettatore condannato a morte (ph: Emanuele Basile)
Lo spettatore condannato a morte (ph: Emanuele Basile)

Quattro attori professionisti e 25 cittadini per riflettere sul malessere giudiziario e sul valore contraddittorio del teatro

Il teatro, che della realtà è specchio e lente d’ingrandimento, sta vivendo una nuova fase di transizione e, come sempre accade nel passaggio da una forma all’altra, fluttua tra modelli del passato e proiezioni del futuro in direzioni talvolta contrastanti, che lo rendono ancor più inafferrabile ed effimero di quanto già per natura non sia. Una consapevolezza, questa, che sembra aver guidato il lavoro di Matei Visniec e di Beppe Rosso, l’uno autore e l’altro regista del testo teatrale “Lo spettatore condannato a morte”, in scena per dieci giorni a Torino, nello spazio teatrale di San Pietro in Vincoli, occasionalmente trasformato in aula di tribunale.

Un testo di primo acchito lieve, persino comico, divertente, ma che in seconda istanza costringe a una riflessione più profonda e a tratti poco rassicurante. Ad essere inquisito, nella prima parte dello spettacolo, è uno spettatore, accusato di non si sa bene quale crimine da parte di una corte quanto mai inaffidabile: un giudice ottuso e affetto da alcolismo, ormai del tutto inadeguato al suo compito (Angelo Tronca); un procuratore in preda ad un’inspiegabile deriva giustizialista (Lorenzo Bartoli); un avvocato difensore sostanzialmente incapace e colluso con il giudice, di cui è il genero (Andrea Triaca); un cancelliere che, nella seconda parte, è il primo ad autodenunciarsi per aver rivestito quel ruolo in modo fraudolento (Francesco Gargiulo).

Poco o nulla di ciò che viene detto nella fase d’accusa ha un fondamento logico, e la sensazione è quella di essere rimpiombati nel teatro dell’assurdo di Ionesco, che con Matei Visniec condivide sia l’origine rumena sia l’aver successivamente abbracciato la lingua e la cultura francese.
Tuttavia, la complicità con il pubblico, stuzzicata e dichiarata fin dall’inizio, ci porta in un’altra direzione, decisamente più moderna e vicina ai modelli televisivi, complice anche la proiezione di immagini degli stessi spettatori, ripresi a loro insaputa, come in un reality show.

Poi però subentrano i testimoni, ossia attori non professionisti, coinvolti attraverso un percorso di formazione nel progetto, che di sera in sera si alternano nel ruolo della cassiera, della maschera addetta allo sbigliettamento, della signora che offre caffè e biscotti all’ingresso o dello spettatore sorteggiato dalla ruota vincente. Un teatro partecipato, dunque, aperto alla cittadinanza, che guarda all’impegno sociale.
Sì, salvo poi un ulteriore cambio di prospettiva: nella seconda parte, infatti, il processo non sembra più essere rivolto allo spettatore; ad essere inquisiti sono gli stessi attori che prima interpretavano la corte e che si affrettano ora, uno dopo l’altro, ad autodenunciarsi.

Qual è dunque il tema? Il processo allo spettatore forse non è che un escamotage per mettere in scena il processo a cui l’attore si auto-sottopone, confessando in questo modo la propria dipendenza dall’altro, dallo spettatore, a cui è legato da un rapporto di amore/odio?
L’ultima scena dello spettacolo è allo stesso tempo ironica, paradossale e crudele: gli attori vengono letteralmente buttati fuori scena, mentre una folla di spettatori-testimoni preme all’ingresso per entrare in sala.

La domanda potrebbe allora essere: il teatro partecipato, il cosiddetto teatro sociale e di comunità, avrà ancora bisogno di attori professionisti? O forse a questi ultimi verrà richiesto, come già sta accadendo, di ripensare al proprio ruolo in un’ottica diversa e più impegnata nel sociale?

Un’ultima considerazione è quella legata alla parodia della giustizia, di cui questo testo si fa portavoce. Una giustizia infarcita di menzogne, che bene si addice al teatro, dove – come afferma Gigi Proietti – tutto è finto ma niente è falso.
Non possiamo comunque non riconoscere, in questa descrizione, una costante di Matei Visniec, sempre impegnato nel denunciare ogni forma di autoritarismo, censura ideologica e corruzione politica.

Lo spettatore condannato a morte
di Matei Visniec
traduzione Debora Milone e Beppe Rosso
adattamento Beppe Rosso e Lorenzo De Iacovo
aiuto regia Yuri D’Agostino
regia Beppe Rosso
con Lorenzo Bartoli, Francesco Gargiulo, Andrea Triaca, Angelo Tronca e con venticinque cittadini nel ruolo dei testimoni
scene e luci Lucio Diana
riprese video Eleonora Diana
tecnico di compagnia Adriano Antonucci
sound Massimiliano Bressan
costruzione scene Marco Ferrero
produzione A.M.A. Factory

durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 2′

Visto a Torino, San Pietro in Vincoli, il 10 dicembre 2023

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