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Lo straniero. Teatro i al funerale di Meursault

Martinelli e Neri in scena (photo: Lorenza Daverio)

Martinelli e Neri in scena (photo: Lorenza Daverio)

“A questo servono gli altri, a dirci quello che non sappiamo. Voi siete qui per questo” annuncia Woody Neri in apertura dello spettacolo di Francesca Garolla, ispirato a “Lo straniero” di Albert Camus.
E’ il monologo di un uomo curvo sul grigiore della propria prigione, che ripercorre l’istante in cui tutto ha vacillato, colpa la calura di una giornata estiva; si è rotto l’equilibrio del giorno e ha avuto inizio più di una fine, come in un rebus insensato senza capo né coda. Un uomo, Meursault, protagonista de “Lo straniero”, non privo di qualità e di dubbi, che calza la prima persona ma che a tratti invece ci ricorda il controcanto del fratello dell’arabo ucciso, Moussa, voce del romanzo pubblicato qualche anno fa da Kamel Daodud, “Il caso Meursault” prequel/sequel di uno dei classici della letteratura europea.

I grandi assenti di questo campionato: Dio, il corpo e il nome dell’arabo, un padre. La prossimità della morte e la conseguente possibilità di un funerale (quello di Meursault) si collocano proprio in questi spazi bianchi che siamo chiamati a riempire per dare un senso alla nostra estraneità. Perché l’unica morte che ci colpisce è la morte che ci somiglia. Ovvero ci ricorda la nostra.

L’intenso monologo “Lo straniero – un funerale”, nuova produzione di Teatro i, si rivela come un gioco a tre fra il pubblico, l’attore e il regista, Renzo Martinelli, sempre presente e sempre attivo in scena.
Suo il potere di dare luce, anche fuori scena, una luce che può essere accecante, come quella del sole su quella spiaggia di Algeri quasi un secolo fa. Suo il potere di officiare musicalmente questa strana funzione, pizzicando le corde di un braccio meccanico, fino allo stridere della rarefazione. Sua la ghigliottina nel buio del palcoscenico.

Ci dirigiamo insomma verso il sole del tramonto, accompagnati da un Caronte bifronte, che ci costringe a chiederci quale parte di noi potrebbe cambiare o non cambiare la storia, se riusciremmo a rivolgerci verso Meursault e le sue gesta con l’odio che ci ha richiesto, oppure preferiremmo non guardare nell’acque scure della sua paura. Della nostra paura.

Lo spettacolo vive di riflessi, specchi che si trasformano in lastre, che separano ma non abbastanza, senza mai realmente unire. Unire Meursault con la sua immagine, l’arabo al suo corpo, la madre dell’arabo al nome “figlio” scritto nella pietra su una spiaggia deserta. Il nome improprio di un messaggero che ci riporta racconti e domande a cui forse non avremo abbastanza tempo per inviare risposte. Che, in definitiva, ci lascia il dubbio di poter essere un giorno stranieri a noi stessi, o di esserlo già.

In scena fino al 29 maggio a Milano.

Lo Straniero – un funerale
liberamente ispirato da Albert Camus
regia Renzo Martinelli
di Francesca Garolla
con Woody Neri
luci Mattia De Pace
assistente alla regia Martina Dell’Utri
costumi ValeriAura
produzione Teatro i

durata: 1h 15′
applausi del pubblico: 3′

Visto a Milano, Teatro i, il 9 maggio 2019
Prima nazionale

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