31 volte Mime Festival. Pathosformel riportano l’Italia in cartellone

Nicole Mossoux in Kefar Nahum (photo: mimefest.co.uk)
Nicole Mossoux in Kefar Nahum (photo: mimefest.co.uk)
Nicole Mossoux in Kefar Nahum (photo: mimefest.co.uk)

15 compagnie da 10 paesi diversi, 13 prime nazionali e una mondiale, 5 luoghi di spettacolo attivi in contemporanea per 19 giornate di rassegna. Questi alcuni dei numeri del London International Mime Festival 2010.
Dando un’occhiata alla stampa inglese, sembrerebbe che questa 31esima edizione abbia riservato sorprese davvero succulente. Dalla grandiosa apertura dell’ensemble svizzero Zimmermann & de Perrot al Barbican Centre fino al passaggio dei celebri Mossoux-Bonté, maestri della scena visuale contemporanea belga, e al – tanto agognato – ritorno dell’Italia in cartellone, grazie al ben noto “La timidezza delle ossa” di Pathosformel.

Di grande prestigio, quest’anno, sono stati i workshop e le “lectio magistralis”: il compito di inaugurare questa sezione è andato a Tom Morris, direttore artistico dell’Old Vic di Bristol e regista associato del National Theatre. Molto frequentati sono stati i seminari pratici di “active puppetry” tenuti da Yuval Fingerman & Renana Raz (“Coming to life”, per esplorare il collegamento tra teatro di figura, danza e movimento), Gavin Glover dei Faulty Optic (“Acting a puppet”, a proposito della tecnica del “focus”, responsabile dell’espressività dei pupazzi). Seguitissimo anche il lungo seminario di clownerie condotto al Battersea Arts Centre da Angela De Castro (“How to be stupid – or the clown’s intelligence”), mentre gli insegnanti del LISPA (London International School of Performing Arts) Thomas Prattki, Micheal Brown e Aurelian Koch hanno tenuto lezioni su “Creating Theatre and Performing Arts” e Barry e Joan Graham hanno detto la propria sulla “Eccentric Dance”, prima di lasciare il posto a uno studio incrociato condotto da Jonathan Young su clown e maschera.

Krapp’s Last Post è stato ospite dell’organizzazione del Festival per seguire tre spettacoli. “Kefar Nahum” di Mossoux-Bonté, Circus Kletzmer e “The timidity of bones” dei nostri Pathosformel.
Il primo ci ha riportati con piacere nel “basement” dell’imponente Barbican Centre. The Pit è il nome dello spazio performativo dedicato al teatro d’avanguardia in uno dei centri polifunzionali meglio organizzati d’Europa. Abbiamo avuto tempo di fare un giro per le diverse aree del Barbican e testimoniare l’attenzione e il seguito che il pubblico britannico dedica alle arti in generale, al teatro visuale in particolare. Il pubblico è composto da una massa di avventori quanto più omogenea, dagli anziani disabili ai bambini eccitati. Lo spettacolo, in perfetto stile M-B, ha permesso alla straordinaria performer belga Nicole Mossoux di dimostrare con quale facilità l’occhio s’inganni. Ogni forma, dall’innaffiatoio di plastica a una semplice veste, assume una movenza viva, un proprio sguardo, una propria espressione, una propria identità, capace in tutto e per tutto di prendere il sopravvento fino a divorare letteralmente l’attrice/animatrice, superbamente diretta e illuminata dal compagno Philippe Bonté al suono degli effetti controllati dal vivo da Thomas Turine.

Circus Kletzmer ha dimostrato di essere in grado di conquistare ancora una Queen Elizabeth Hall gremita di ogni genere di spettatori. Il circo vecchia maniera, dal polveroso sapore zingaro e dalla musica nomade ci ha stregati, ci ha presi per mano e ci ha trascinati, facendoci annuire, sorridenti, rileggendo la recensione che Carla Vitantonio aveva scritto per queste pagine giusto un anno fa.
Tanto talento e tanta umiltà, il connubio perfetto per creare uno spettacolo totale che sta in piedi e parla da sé, senza bisogno di tanti discorsi, solo con l’immagine e il movimento.

I Pathosformel hanno portato il loro successo “La timidezza delle ossa” (Premio Speciale Ubu 2008) in questo grande e accogliente contenitore. La sala dell’ICA non era certo gremita, ma senza dubbio “lo spettacolo del telo, del neon, delle forme e dei rumori” (“the one with the veil, the neon, the shapes and the noises”, così lo ha chiamato il reporter di The Guardian) ha stupito. Interdetti, i pochi spettatori hanno lasciato la sala, senza riuscire a resistere alla tentazione di toccare con mano quella strana consistenza burrosa su cui apparivano e scomparivano i corpi di Daniel Blanga Gubbay e Paola Villani.

Noi c’eravamo, abbiamo una volta di più testimoniato come e quanto si possa fare per allargare gli orizzonti del teatro. Aspettiamo ancora, in Italia, simili opportunità.

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