20 gennaio
Ormai possiamo parlare ufficialmente di una formula clinicamente testata: il mio entusiasmo dura due settimane esatte, dopo le quali mi rendo conto – nuovamente – del triste mondo che mi circonda, riprendo un colorito ceruleo simile a quello di chi mi sta accanto e la smetto di fare tanto casino con la mia felicità: mi adeguo semplicemente all’umore circostante, taccio, e se c’è qualcosa di bello fingo di non vederlo. O per lo meno non lo dimostro.
Ero troppo, troppo entusiasta!!! Ma fortunatamente c’è una parte di me che si rende conto di come quest’entusiasmo sia fuori luogo e mi riporta alla mente la realtà, quella vera, e se questa non bastasse a sedarmi, allora ci sarebbe sempre l’arma della paranoia. Grazie, me.
E infatti, se ieri è stata una bella giornata di merda perché era un piovosissimo (lunedì londinese con l’aggravante delle metropolitane rotte e delle auto che giocano a farti la doccia), oggi ci ha pensato l’idea del ritorno a mettermi di ottimo cattivo umore e a farmi ritornare, diciamo così, normalmente grigia.
Ma insomma. Sono qui che sto facendo di tutto per diventare brava, per diventare ancora-più-brava, perché diciamolo, perdindirindina, abbastanza brava lo ero anche prima, altrimenti manco mi avrebbero presa in questo posto; ecco dicevo sono qui a farmi un culo, a provare ore e ore come si fa a prendere un bicchiere e bere in ventisei movimenti, a imparare come un mimo mimerebbe una lavandaia o un carpentiere, a cercare di riprodurre i sei movimenti della testa che esprimono il pensiero senza sembrare semplicemente una deficiente col torcicollo, sono qui che imparo testi a memoria, li traduco in tre lingue, mi metto in gioco, mi faccio almeno duecento addominali al giorno quando non il doppio, e fra cinque settimane che cosa ne sarà di me?
Ecco, adesso descrivo il panorama: Bologna, una città dove per fare teatro devi essere amica di tre o quattro persone importantissime e – se sfortunatamente non lo sei, ed è il mio caso – il mondo del teatro ti ignora, per quanto brava tu possa essere. A Bologna io non esisto, nonostante io faccia i miei spettacoli, nonostante io viva di questo mestiere, a Bologna, per quelli che fanno teatro, io non esisto. Bologna, un luogo dove la mia bravura viene volentieri scambiata con la magrezza e l’altezza e la setosità di pelle di una qualsiasi cagnetta che abbia voglia di fare teatro.
Questa è Bologna per me adesso. Una volta la mia amica M. mi disse no, scusa Lucillina, ma il vero teatro è quello che fai tu, in mezzo alla gente, nelle bettole, nelle università, non quelle robe imbalsamate dell’Arena o dei Tdv. Si, vabbè, le ho detto io, ci avrai anche ragione, ma almeno una volta ogni tanto la soddisfazione di recitare all’Arena o ai Tdv me la vorrei togliere.
Questo pensiero, sebbene non mi abbia impegnata che per più di cinque minuti, è stato sufficiente a farmi diventare esattamente come tutti gli altri esseri umani-topolini che correvano nel grande tubo questa mattina, una faccia senza speranza.
23 gennaio
Venerdì, finalmente. Una settimana terribile. T-E-R-R-I-B-I-L-E. Posso affermare con certezza che si fa molta più fatica ad essere tristi che ad essere felici. Quando uno è felice le salite finiscono prima, il passo è più lungo, il pasto più abbondante, la lezione più dinamica, il corpo più pronto a eseguire. Invece questa settimana ho fatto una fatica boia, e infatti ci ho un mal di schiena tale che quasi quasi me ne andrei a dormire ma invece no! Devo reagire, devo! Intanto pensare alle cose belle accadute: ovvero la prima presentazione del mio solo (ancora work in progress, ovvio, però già abbozzato) che è andata bene assai, e ciò mi ha incoraggiato, vuole forse dire che qualche cosa ho capito, chi lo sa. E poi stasera, stasera ho deciso di coinvolgere la mia amica Gg nell’esplorazione dei pub di Mile End che, a detta della guida, sono i più veraci, incontaminati etc. Insomma mi ubriacherò a suon di lager beer in mezzo a un branco di inglesi che staranno facendo più o meno lo stesso. Al momento non vedo dove possa essere il lato divertente della cosa, ma sono sicura che fra un paio d’ore mi sarà molto chiaro. E domani, sabato, penultimo sabato di gennaio, farò un rapido giretto a Cambridge, tanto per mettere le zampine un pochetto fuori Londra e capire un po’ com’è fatto l’inglese intellettuale (dopo aver visto quello indaffarato, quello becero e quello ubriacone. Che non è poco). Domansera poi, festa austro-italica organizzata da alcuni compagnucci, e ognuno deve preparare un numero, puranco io, ma questa è una sorpresa, ancora.
Cara, possibile che tu non ti accorga che non solo il teatro presenta le problematiche da te evidenziate? Il teatro è la vita no? Il mondo è fatto di relazioni, inutile piangersi addosso. Se vuoi un consiglio, sii fiera della tua passione, non pensare solo ad andare in scena all’Arena del Sole, e, osserva anche la realtà, senza chiuderti in te stessa.