Un teatro etico intrecciato con la vita. Un’arte che cerca temi forti e sa stemperare gli aspetti più tormentati attraverso la metafora, sfumando l’angoscia in termini simbolici e surreali. Qua e là, fremiti di humour.
“Lontano blu” di Ignacio Gómez Bustamante, regia di Nelson Valente e dello stesso Bustamante, con Manuela De Meo e Pietro Traldi in scena, è uno spettacolo sull’insondabile.
Al centro della pièce, costruita in Argentina e approdata a Milano a Campo Teatrale, un uomo e una donna alle prese con uno spettacolo sulla morte.
Un tavolo e due sedie è la scenografia minimalista. Lo spettatore, catapultato al centro di una prova teatrale, raccoglie sfoghi e confidenze degli attori, nell’impasse che precede l’arrivo del regista. I protagonisti si preparano, entrano ed escono dai personaggi. Intersecano le loro parole in uno spazio soffuso, sotto una pioviggine chiaroscurale di note al pianoforte.
La riflessione sulla morte e i motivi a essa collegati prendono consistenza. L’aldilà è inganno, ma anche mistero. Sminuendo ironicamente questo soggetto, viene rimosso, evitato, ma solo provvisoriamente, il dilemma tormentoso della morte. L’oltretomba è bizzarro e angosciante. I viventi sono morti deambulanti. La morte è un viaggio studiato minuziosamente senza comprenderne nulla. Lassù, laggiù sono parole vuote.
Fluisce una coscienza poetica capace di ridestare oggetti, volti, gesti che appartengono al mondo estinto del tempo. La memoria genera sensazioni varie, fatte di dolcezza e soddisfazione, ma anche di ansia e turbamento. Alla fine, quando la consapevolezza bussa alle porte della coscienza, l’arte non potrà che rappresentare il destino di cancellazione che attende l’esistere umano nel tempo. Sembrerebbe questo, di là dal tono teneramente svagato, il messaggio finale dello spettacolo.
Nella drammaturgia ridondante di parole emerge una filigrana tesa ad allontanare nello spazio e nel tempo gli oggetti della contemplazione, per guadagnare un’indispensabile distanza critica da cui osservarli. D’altra parte, la morte non è mai presentata come scenario lugubre. Essa permea i gesti brancolanti, le pose marmoree dei protagonisti, che riproducono una monumentalità sepolcrale. La morte sta nell’orologio da taschino che si blocca per una goccia penetrata negli ingranaggi; oppure sta dentro un pendolo che cessa di oscillare. È racchiusa negli occhi di chi ha smesso di sorridere.
I monologhi si fondono. La partitura sonora non sovraccarica il livello emozionale. La recitazione è sfumata, i visi sciupati, i sorrisi abbozzati, i movimenti accennati. De Meo e Traldi attenuano le sovrastrutture del teatro d’attore. Trovano un codice primordiale che colpisce per naturalezza e leggerezza.
La luce sfocata fissa sguardi nel vuoto. È diaframma tra onirico e reale. È crinale tra assenza e presenza. Fioriscono immagini da rêverie notturna. Emergono corpi come cigni. Affiorano imbalsamati visi eburnei. Traldi e De Meo riproducono pose statuarie che sembrano nascere dalle “Metamorfosi” di Ovidio, gesti imponenti da architettura funebre. È una dialettica coreografica di corpi divorati dalla vertigine.
Questo teatro dal montaggio estetico si tiene lontano da eccessi patetici e inquietanti. Preserva il potere del sentimento. La verbosità fluente non impedisce al pathos di sublimare. La componente distruttiva e la pulsione di morte sono mitigate dalla vitalità dell’Eros. Lungi dall’apparire come mesta liturgia funebre, “Lontano blu” dimostra che il lutto può essere elaborato quando la morte è ancora distante, da non sfiorarci neppure.
LONTANO BLU
autore: Ignacio Gómez Bustamante
con: Manuela de Meo e Pietro Traldi
produzione: Banfield Teatro Ensamble e Sementerie Artistiche, in collaborazione con Teatro Presente
regia: Ignacio Gómez Bustamante, Nelson Valente
durata: 1h
applausi del pubblico: 2’10”
Visto a Milano, Campo Teatrale, il 18 novembre 2016