La performer porta in scena sé, in un solo “sulla violenza che ho dentro”
Che limite ha il corpo? Fino a dove si spinge la sua potenza? E qual è il limite oltre il quale la carne del corpo si fa significato, diventa senso?
Provocatorio, intelligente e ben costruito, “Love Me” è il seguito naturale del precedente “Fuck Me”, ma le due performance si possono vedere anche come un dittico: perché se il sesso è il corpo, l’amore è la parola.
La ricerca di Marina Otero, performer, autrice e regista argentina classe 1984, proveniente dal circuito indipendente e arrivata quest’estate anche al Santarcangelo Festival, continua ad essere legata da un filo rosso (sangue), uno sguardo obliquo e ostinato dentro sé stessi, arrivando a sfiorare l’assonanza misteriosa tra vita e teatro, affrontando a testa bassa la violenza del proprio passato e il dolore del presente, fra echi e suggestioni potenti, lontani e vicini.
Spettacolo scritto con l’amico Martin Flores Cardenas durante la pandemia, presentato a Catanzaro nell’edizione da poco conclusa di Primavera dei Teatri, “Love Me” assume di volta in volta rappresentazioni diverse su uno stesso significato: è la polimorfia di una donna in fuga (da sé stessa?) che approda sul palcoscenico e si mette faccia a faccia con il senso della rappresentazione artistica. “In un certo senso, scrivere il teatro è scrivere il futuro”: il dolore più forte è una ferita muta.
E muta resta Marina Otero per buona parte della performance: la scena non è minimal, la scena non esiste. È un concetto interiore. È un pensiero, uno svolazzo, un ripensamento, un continuo mutare.
Un filo di luce calda illumina il suo corpo; lei è seduta su uno sgabello, intorno il buio; lei con una giacca nera e i capelli rossi che spiccano su tutto, uno schermo dietro su cui i suoi pensieri vengono estroiettati e in veloce successione parlano del silenzio assordante del palcoscenico – occupato senza alcuna barriera dal pubblico e da un corpo che paralizza il tempo.
“Voi lì a leggere nell’oscurità. A chiedervi: sarà tutto così lo spettacolo? Ma siete già parte del copione, o meglio di una profezia”. Il viaggio teatrale di Marina Otero, performer pluripremiata in giro per il mondo, vuole bucare a tutti i costi la quarta parete “reale” del teatro, e arriva fino al punto estremo, ossia tentare (e riuscire?) a spezzare anche la parete emotiva ed emozionale dell’accordo tacito fra attori e spettatori: si assiste ad una vera finzione. Ma qual è il limite tra finzione e vero?
La finzione sta nel culto esibito della performance teatrale: “Questo corpo qui seduto come il tuo, muto, statico, chiede disperatamente di essere amato. Anche questo ho imparato dal teatro”.
Qual è il limite? Non c’è limite. Non c’è finzione, non c’è realtà; c’è il corpo significante senza nessun tipo di sovrastruttura, che sia anche lessicale o di comunicazione: e infatti Otero non parla mai, si esprime solo in un grottesco, inquietante, gutturale grammelot che assembla suoni, onomatopee e foni privi di significato. Perché il senso non serve, ce l’ha solo il corpo.
Un corpo che, in una scena nuda, non poteva che spogliarsi di tutto, negli ultimi minuti, e restare anch’esso nudo: solo il viso viene coperto da una maschera da luchador, perché non serve un viso, non deve esserci un viso, non devono neanche esserci parole, solo suoni, borbottii. Per spogliarsi di tutto, e arrivare al nucleo nudo della vita.
Un corpo che da muto e statico diventa forma e vita in una danza liberatoria; un corpo che, attraverso una fila di luci sempre più calde, mette ancor più in mostra la fisicità della protagonista, una Otero che fa esplodere le sue parole ormai impresse nello spettatore diventato ora immobile, con lo sguardo verso la spontaneità di quel corpo alla ricerca di un compromesso con la vita, violenta e amara, sotto le uniche note musicali che forti e irruenti sottolineano gli ultimi istanti.
LOVE ME
di Marina Otero e Martin Flores Cardenas
con Marina Otero
produttore Mariano de Mendonca
compagnia Marina Otero
produzione in Italia Carnezzeria srls
durata: 55’
Visto a Catanzaro, Teatro Politeama, il 28 settembre 2022
Primavera dei Teatri