Riccardo Chailly dirige l’Orchestra della Scala per questa nuova produzione donizettiana. Protagonista maschile Juan Diego Florez nel ruolo di Edgardo
La “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti è talmente entrata nel nostro immaginario che quando ci avviciniamo ad una donna che possiede lo stesso nome della protagonista la salutiamo dicendo: “Lucia, perdona se ad ora inusitata io vederti chiedea, ragion possente a ciò mi trasse”, ricevendone sempre un sorriso di piacere. Proprio perché, sin dal primo ascolto, l’infelice personaggio, condotto alla pazzia e alla morte per l’impossibilità di amare il suo Edgardo per ragion di Stato, ci è entrato proprio nel cuore, anche a causa del composito risalto che gli regala la musica donizettiana.
Il compositore bergamasco, con “Lucia di Lammermor”, ha infatti realizzato uno dei grandi capolavori dell’opera romantica, in cui amore e morte sono indissolubilmente intrecciati, poiché anche Edgardo, saputa l’inattesa morte per amore di Lucia, si ucciderà.
Questa infelice storia, che seguiamo in tutti i diversificati stati d’animo di ogni personaggio, Donizetti la trasse dal libretto di Salvatore Cammarano, che a sua volta si ispirò a “The bride of Lammermoor” di Walter Scott.
La prima ebbe luogo al Teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre 1865; in seguito lo stesso Donizetti ne fece anche una versione francese che debuttò al Théatre de la Reinassance di Parigi il 6 agosto 1839.
Quanti i meravigliosi momenti dell’opera che ci vengono subito alla mente: il duetto d’addio, dopo il giuramento d’amore eterno tra Lucia ed Edgardo (“Verranno a te sull’auree”); il sublime sestetto, seguito da un frenetico concertato, quando Edgardo irrompe alle nozze dell’amata, dove vedendo il contratto nuziale, firmato da Lucia, che lo credeva mendace per un inganno, sortito invece dal fratello, maledice l’amata (“ Chi mi frena in tal momento”); tutta la scena della follia di Lucia (“Il dolce suono mi colpì di sua voce…”), in cui la donna si palesa in scena con un pugnale tra le mani e gli abiti insanguinati, dopo aver ucciso lo sposo che le è stato assegnato contro il suo desiderio, in cui immagina di sposarsi con Edgardo, invocandolo, mentre si risente la melodia del loro addio (“ardon gli incensi”), sino alla morte cruenta dell’uomo, che si uccide sapendo che l’amata si è spenta lentamente (“Tu che a dio spiegasti l’ale”), accompagnato dal suono di lancinante espressività del violoncello.
Non c’è momento dell’opera in cui la musica, in perfetto rapporto con le parole, non restituisca in modo pertinente e viscerale i sentimenti dei personaggi.
L’edizione vista al Teatro alla Scala è stata concepita in modo da essere più rigorosamente vicina alla partitura originale, con scene, come quella del temporale con la sfida a duello tra Enrico (il fratello di Lucia) ed Edgardo, spesso espunta, e senza gli abbellimenti aggiunti più tardi – come il flauto al posto della glassarmonica, sempre nella scena della follia.
Il teatro milanese, per quest’autentica meraviglia musicale, ha scelto come personaggi principali due interpreti che amiamo moltissimo: Lisette Oropesa (Lucia) e Juan Diego Florez (Edgardo), ruoli che sono diventati di riferimento del soprano e del tenore romantico; una scelta che non ci ha deluso.
Lisette Oropesa, che già ascoltammo con entusiasmo in un concerto a Martina Franca, è una Lucia perfetta, sia come cantante sia come interprete, esprimendo in modo dolente il tormento del suo personaggio, sia davanti al furore di Edgardo che si sente ingiustamente tradito, sia nell’aria di entrata (“Regnava nel silenzio”, accompagnata all’inizio della scena da una meravigliosa melodia condotta da un’arpa), sia ancora nella difficilissima e composita scena della follia, restituendo sulla scena il suo stato con tutte le possibilità espressive della voce: basti ascoltare come pronuncia la frase “Al calar del tuo pensiero giunga un foglio messaggero”, o il momento in cui canta “alfin son tua, alfin sei mio”, che Oropesa esprime con grande sensibilità di accenti.
Juan Diego Florez, il celebre tenore rossiniano, che tante volte abbiamo apprezzato, pur con grande sforzo, ma con altrettanta generosità nell’affrontare una parte che non gli apparterrebbe, riesce a donarle struggenti accenti personali, facendone prevalere, in modo appassionato, soprattutto il carattere romantico e passionale.
Boris Pinkhasovich è Enrico Asthon, il fratello di Lucia, un poco incolore, ma nel complesso soddisfacente, che supera egregiamente l’aria di entrata (“Cruda funesta smania”); eccellente come sempre Michele Pertusi, nei panni di Raimondo, padre spirituale della protagonista, che conduce da par suo il pietosamente commosso coro, in cui viene esplicitato l’assassinio dello sposo imposto a Lucia (“Qual funesto avvenimento”).
Yannis Kokkos, autore della regia, delle scene e dei costumi ambientati all’inizio del ‘900, con l’aiuto della drammaturga Anne Blancard e di Vinicio Cheli per le luci, compone un allestimento nel solco della tradizione, dove dominano i colori scuri, con un albero rinsecchito che la fa da padrone e, nei momenti topici, tocchi di rosso, in sintonia con un intreccio in cui dominano la morte e il sangue.
Ogni scena è caratterizzata da statue di diverso tipo: nel primo atto, colmo di cacciatori, sono cani con un cervo gigante che occhieggia nel bosco; poi sarà una statua velata, simbolo della morte della madre di Lucia, presso cui gli amanti si giureranno eterno amore; lapidi e una grande statua della morte munita di falce, e una di un monaco con in mano un’urna cineraria, caratterizzano l’ultimo atto, con la morte di Edgardo che, disarmato di una pistola, si ucciderà con un coltellino.
Il temporale viene scandito dall’apporto video di Eric Duranteu e da due quinte che simboleggiano i fulmini, accompagnati da lampi di luce.
Nel secondo atto i festeggiamenti per le imminenti nozze si tengono invece in un capace salone, con tre porte che si aprono sul fondale e quinte marroni che verranno poi aperte in occasione delle nozze funeste della protagonista.
Nella scena della follia appare una grande scalinata con ai lati degli specchi, in cui la povera Lucia si guarda attonita, con quel suo vestito bianco di sposa macchiato di sangue.
Poco duttili i movimenti del coro, spesso generici, per una regia nel complesso coerente ma senza particolari invenzioni.
La direzione di Riccardo Chailly amplifica in modo sempre congruente l’aura romantica che invade tutta l’opera, dando alle varie atmosfere ogni volta potente espressività.
In perfetta sintonia con la scena il coro diretto da Alberto Malazzi, messo alla prova in tutta l’opera attraverso emozioni e accenti sempre diversificati.
Lucia di Lammermoor
Gaetano Donizetti
Dramma tragico in tre atti
Libretto di Salvatore Cammarano
Nuova produzione Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Regia, scene e costumi Yannis Kokkos
Luci Vinicio Cheli
Video Eric Duranteau
Collaboratrice del regista e drammaturga Anne Blancard
CAST
Enrico Boris Pinkhasovich
Lucia Lisette Oropesa
Edgardo Juan Diego Flórez
Arturo Leonardo Cortellazzi
Raimondo Michele Pertusi (13, 16, 29 aprile, 2 e 5 maggio); Carlo Lepore (20, 23, 26 aprile)
Alisa Valentina Pluzhnikova*
Normanno Giorgio Misseri
*Allieva dell’Accademia Teatro alla Scala
Durata spettacolo: 3h 15′ ca. inclusi intervalli
Visto a Milano, Teatro alla Scala, il 2 maggio 2023