Teatri, musei e cinema hotspot utilizzati per vaccinare gli italiani. E’ la proposta arrivata da Mauro Salizzoni, vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte, e probabile candidato del centro-sinistra per le prossime elezioni a Torino nella ricerca di un dopo Chiara Appendino.
Salizzoni, molto conosciuto in città per la sua brillante carriera come chirurgo (per quasi vent’anni direttore del Centro Trapianti di fegato dell’ospedale Molinette), ha lanciato la proposta ai luoghi della cultura. Poiché – sostiene, in linea con la “collega” Ilaria Capua – musei, cinema e teatri sarebbero luoghi idonei sotto il profilo logistico e organizzativo, con le caratteristiche necessarie per garantire una gestione ordinata delle vaccinazioni. Per Salizzoni “si realizzerebbe un virtuoso incontro tra la sanità e il mondo della cultura e dell’intrattenimento”, che dovrebbe prevedere adeguate risorse a favore di chi mette a disposizione i propri spazi.
E qualcuno ha già risposto di sì. Come il Castello di Rivoli, museo d’arte contemporanea appena fuori città, che si è reso disponibile per questo progetto pilota: “L’imponente sala al terzo piano del Castello di Rivoli offre spazio ampio e sicuro per una sala d’attesa socialmente lontana, cabine per i vaccini e una comoda area di monitoraggio post-vaccino – ha dichiarato la direttrice del Castello di Rivoli Carolyn Christov-Bakargiev – E le nostre guide sono ben addestrate nel monitoraggio del pubblico. Attualmente ospita un’installazione dell’artista svizzera contemporanea Claudia Comte, che i visitatori potrebbero vedere durante la vaccinazione”.
In un anno in cui i consumi culturali sono evidentemente crollati (una media del -47% secondo l’Osservatorio Impresa Cultura Italia-Confcommercio e Swg, con un -90% del teatro e un -89% di concerti dal vivo, -86% di festival culturali e -84% di cinema), il mondo della cultura può rilanciare la sua funzione dando una mano alla sanità?
“L’arte ha sempre aiutato, guarito e curato – prosegue Carolyn Christov-Bakargiev – Alcuni dei primi musei al mondo sono stati gli ospedali. Ora stiamo ripagando il favore, per così dire, e apriamo le sale del Castello di Rivoli per lo sforzo di vaccinazione”.
Ma non tutti la pensano come lei.
Salizzoni intanto porterà la proposta in Consiglio, chiedendo all’assessore regionale alla Sanità Luigi Icardi di valutarla.
E cosa ne pensa il mondo del teatro?
Ad avere un’idea simile alla direttrice del Castello di Rivoli è Elena Di Gioia, direttrice artistica della stagione Agorà – Area metropolitana di Bologna: “Credo che i luoghi della cultura, i musei, i teatri e i cinema debbano essere sempre più luoghi della comunità. Aperti, accessibili e vicini alle vite dei cittadini e delle cittadine. Cosa accadrebbe se guardassimo ai luoghi della cultura come luoghi dei diritti delle persone? Cose accadrebbe se fossero luoghi pionieristici nella comunità dove accogliere, applicare i diritti delle persone? Lo dico ribadendo la centralità dei linguaggi culturali all’interno di un progetto culturale più ampio di welfare di comunità. I luoghi della cultura devono scandire come un metronomo la vita delle persone e essere pronti di fronte alle sfide del presente e della contemporaneità. I luoghi della cultura, per loro statuto, dovrebbero essere imbevuti di presente e questo presente ora ci chiede di esserci, di non sottrarci, e di rilanciare, nella drammaticità estrema del periodo, il nostro ruolo nelle comunità e di aprirci, simbolicamente e concretamente, anche là dove non avremmo mai immaginato, come l’emergenza sanitaria. Essere al centro delle comunità”.
“Nel mio percorso artistico ho frequentato prevalentemente spazi senza palchi e velluti, dunque non coltivo un rispetto sacro verso il luogo teatro, né una reazione di lesa maestà alla proposta, al massimo posso trovarla stravagante – ci racconta l’attore e drammaturgo romano Andrea Cosentino – Il mio fervore lo riservo piuttosto ad amici e colleghi in carne ed ossa che lottano per creare cultura in luoghi non deputati, solitamente più prossimi al vissuto delle persone. Da questo punto di vista, anzi, magari la campagna vaccinale potrebbe diventare l’occasione di rendere più chiara la vocazione sociale dei teatri, soprattutto quelli a finanziamento pubblico. Potremmo semmai chiedere come clausola che per l’occasione i medici, ad esempio, al Piccolo Teatro indossino la maschera di Arlecchino, tanto per profittare della situazione per fare un po’ di public engagement. Anche se non trascurerei il fatto che le multisale cinematografiche offrano spazi molto più ampi e sterili, senza considerare che gran parte delle persone, è un triste segno dei tempi, preferirebbero farsi vaccinare da Batman piuttosto che dal dottor Balanzone”.
Al contrario, gli operatori torinesi sembrano più preoccupati dell’ipotesi di Salizzoni.
“E’ triste pensare che nel prossimo futuro non sia previsto di riaprire i teatri – commenta Natalia Casorati, direttrice artistica del festival di danza Interplay, che proprio al Castello di Rivoli ha trovato una felice location nelle ultime edizioni pre-pandemia – Avrei sperato che a marzo musei, cinema e teatri potessero tornare ad accogliere il pubblico, ovviamente contingentato, come succede in negozi, supermercati, parrucchieri… Invece Salizzoni propone di trasformare i luoghi della cultura in hotspot per i vaccini, investendo risorse adeguate per renderli idonei. Che dire, mi trovo combattuta. Da un lato capisco la necessità di trovare spazi adeguati per vaccinare i cittadini, dall’altra temo che trasformare in hotspot cinema, musei e teatri, anche se temporaneamente, investendo delle risorse, non possa che ritardare ulteriormente la loro apertura”.
Anche Valentina Diana, attrice e drammaturga, teme ulteriori slittamenti: “Io, proprio in questo momento, sto partendo per la Puglia per andare a lavorare in teatro. Quindi mi dispiacerebbe se il teatro in cui vado a lavorare fosse occupato da vaccinatori e vaccinandi. Però, se non ci fosse proprio nessun altro posto possibile, me ne farei una ragione, a malincuore però. Anche perché il piano vaccinale andrà avanti per un anno. Quindi, mi viene da chiedermi: pensano di tenere chiusi i teatri e i musei per un anno? Perché, se così fosse, non ci sarebbe più bisogno di vaccinare i teatranti. Sarebbe anche un bel risparmio!”.
Gli fa eco con decisione Davide Barbato, organizzatore teatrale, regista e anima, tra gli altri, del festival Play with Food: “Al di là della sensatezza tecnica della proposta, su cui non ho le competenze per esprimermi, mi sembra un’uscita per lo meno indelicata da parte di un esponente politico. Il settore a cui fa riferimento Salizzoni, dovrebbe saperlo, è in tale sofferenza che forse un minimo di sensibilità nella proposta sarebbe stata necessaria. Poi non so, mi sembra che la proposta metta in luce la contraddittorietà del momento che stiamo vivendo: se i nostri spazi di lavoro, come afferma Salizzoni, sono tra i più sicuri per accogliere le persone, garantire la sicurezza dei flussi, delle code, delle entrate, delle uscite, della permanenza con distanziamento, allora perché questi stessi spazi sono chiusi dal 24 ottobre senza poter accogliere il pubblico e senza reali prospettive di riapertura? Qualcosa francamente sfugge. Allora, per provocare, se proprio vogliamo farlo, mi viene da proporre di associare attività di spettacolo alla vaccinazione: va’ a vaccinarti e ti guardi un film o uno spettacolo o una mostra. Ne gioverebbero entrambe le attività, in un virtuoso processo di reciproco audience engagement. In ogni caso, sempre per continuare con la provocazione, mi sembra di vivere un mortificante e ironico capovolgimento della visione di Jean Genet, che auspicava teatri eretti al centro dei cimiteri per consentire al pubblico di attraversare la morte prima di assistere al rito dello spettacolo, e non certo teatri trasformati in centri sanitari”.
“La proposta di Salizzoni non può che destare più di una preoccupazione in chi lavora nell’ambito della cultura, ma anche e forse soprattutto in chi ha interesse al benessere sociale e alla salute dei cittadini – secondo Girolamo Lucania, regista e direttore artistico del Cubo Teatro di Torino – Preoccupazione innanzitutto perché è l’ennesimo segno di come siano visti i luoghi della cultura: sacrificabili. E sebbene in questo caso lo siano per un intento nobile (accelerare le vaccinazioni), ciò che preoccupa è che questa proposta non è accompagnata da un progetto di rilancio dei presidi culturali, delle performance dal vivo, del mondo culturale in genere. Secondo l’OMS la cultura, e l’arte performativa in particolare, sono fondamentali per benessere mentale, spirituale e sociale di una comunità e di una nazione. Forse sarebbe auspicabile una visione in cui fosse chiaro il fondamentale ruolo dei luoghi e dei presidi di cultura, e che non solo cercasse e lottasse per aprirli il prima possibile, ma che anche lavorasse per generare nuovi spazi – soprattutto nei quartieri periferici, da sempre abbandonati”.
Tra gli operatori torinesi sembra un fronte unico: “Credo sia un grosso errore, non privo di strategie malsane, quello di convertire i teatri o i cinema in luoghi destinati alle vaccinazioni – ci racconta Giorgia Cerruti della Piccola Compagnia della Magnolia – Sono certamente luoghi che per le loro conformazioni garantiscono sicurezze (e i politici lo sanno bene); allora è dovere del nostro governo pensare a soluzioni per riaprire i teatri al loro uso, tecnico e vocazionale, riportando al lavoro milioni di persone. E’ dovere del nostro governo investire soldi per strutturare una riapertura sostenibile dei teatri.
L’idea invece di convertirli in luoghi per le vaccinazioni non fa che sussurrare, nemmeno troppo velatamente, il rischio di ulteriori mostruosi ritardi che rischiano di uccidere il nostro settore. I teatri sono luoghi vivi, abitati da gente viva; molto più viva dell’80% di chiese e parrocchie!”.
E’ una preoccupazione quasi unanime quella del mondo teatrale torinese, come ci conferma anche Alberto Jona, direttore artistico del festival di teatro di figura Incanti: “Come organizzatore culturale ritengo che utilizzare musei, cinema e teatri, dati i tempi lunghi, se non lunghissimi, in cui si procederà alle vaccinazioni, voglia dire imbalsamare musei, teatri e cinema, cioè sostanzialmente soffocare la Cultura. Sono decisamente contrario. La Cultura è pensiero critico, capacità creativa, ossigeno per corpo e mente, intelligenza, comprensione dell’altro… In un’epoca così buia abbiamo – anche e soprattutto – bisogno di Cultura, vissuta, esperita e condivisa. Ci sono spazi dismessi o inutilizzati (come caserme, spazi industriali ecc.) che si potrebbero allestire in modo sicuro dal punto di vista sanitario, senza colpire ancora una volta la Cultura”.
E’ più possibilista Marta Galli, attrice e organizzatrice milanese: “Io non sono contraria alla proposta, anche in Francia e in altri paesi europei stanno seguendo questa linea, i teatri e i cinema sono chiusi, la priorità in questo momento è riuscire a uscire dall’emergenza e solo una campagna vaccinale tempestiva, diffusa e ben organizzata può farci sperare in un’accelerazione verso la conclusione di questa crisi sanitaria e quindi economica e sociale. Credo che i luoghi della cultura possano svolgere un ruolo importante per facilitare il processo, e anzi che sia un bel messaggio anche per la popolazione, di responsabilità da parte degli operatori culturali. Chiaro che ci vogliono patti chiari per capire tempi e modi di impegno degli spazi, questa scelta non deve gravare ancor di più sulle già massacrate economie degli enti culturali, provocandone chiusure ulteriormente prolungate o incidendo sui costi di gestione, che devono ovviamente essere a carico del pubblico”.
A dar ragione al ‘no’ dei teatranti torinesi arriva anche un parere scientifico: “Se convertissero teatri e cinema in luoghi dove fare le vaccinazioni, che andranno avanti almeno fino alla fine del 2021 e anche oltre, quando riapriranno? Sarebbe una condanna a morte per loro e per coloro che ci lavorano – è il parere di Giulia Casorati, ricercatrice alla Experimental Immunology Unit del San Raffaele di Milano – Il problema di cinema, teatri e musei chiusi è ancora più paradossale della chiusura della scuola. Sono luoghi sicuri che dovrebbero riaprire appena le curve dei contagi scenderanno, e appena la gente comincerà ad essere vaccinata. Soprattutto i musei sarebbero potuti restare tranquillamente aperti, con ingressi contingentati, nelle zone arancioni e gialle, e probabilmente anche rosse. Quindi non è sensato convertire questi luoghi della cultura, perché tra qualche mese potranno riaprire, e non avrebbe senso investire soldi per convertirli in luoghi non adatti al loro scopo, per poi spenderne altri per farli tornare come prima. Possiamo prendere spunto da quello che stanno facendo all’estero: a Londra stanno allestendo un enorme centro usato per fiere (l’Excel Centre), e in più stanno già allestendo centri di vaccinazione nei supermercati (in UK i supermercati hanno una zona dedicata alla vendita dei farmaci che sarà dedicata ai vaccini), mentre in Germania hanno predisposto per la vaccinazione vecchi centri commerciali, capannoni dismessi, stadi, aeroporti e fiere. Io suggerirei di usare le caserme, sono piene di enormi spazi vuoti, perfetti per essere adibiti a presidi medici dove poter vaccinare milioni di persone al mese. In alternativa si possono usare le fiere, le palazzine dello sport, i centri commerciali semiabbandonati… non c’è che l’imbarazzo della scelta!”.