Era il 1997 quando David Foster Wallace pubblicava “Una cosa divertente che non farò mai più”, reportage comico-grottesco sul mondo delle crociere di lusso. Un romanzo breve, apparentemente leggero e divertente, che si accostava in modo sottile e impietoso al mondo del divertimento organizzato. Smascherando la formula all inclusive, Wallace mostrava come dietro a tanto agio e sfarzo si celasse in realtà il volto infingardo del capitalismo occidentale, teso ad anestetizzare i suoi protagonisti. Quelle righe scorrevoli portavano alla luce i germi della depressione dietro la soddisfazione di bisogni indotti dal consumismo sfrenato.
David Foster Wallace mostrava il lato comico e grottesco dell’America rampante imbarcata in crociere di lusso, con il corredo di rituali di finto divertimento: balli di gruppo, giochi, aperitivo, cena con il comandante, barzellette salaci e volgari.
In “L’uomo palloncino”, andato in scena a Campo Teatrale, Giulia Lombezzi recupera l’ironia graffiante di Wallace nell’indagare il mondo del divertimento organizzato. Ci aggiunge un umorismo sornione alla Stefano Benni. Ne nasce una scrittura scenica vivace.
Il punto di vista è quello di Emile (Tomas Leardini), un ragazzo di venticinque anni approdato in un villaggio turistico di lusso come animatore per bambini. Assistiamo alla metamorfosi del giovane: da ragazzo attivo ed entusiasta del proprio lavoretto estivo, che nutre piccole ambizioni, a giovane frustrato, privo di entusiasmo ed energia, pronto a soccombere di fronte alla tirannia di un bambino di sette anni.
Che cosa provoca la profonda metamorfosi in soli venti giorni? Turni di lavoro massacranti, di dieci o anche di dodici ore, che prevedono sforzi fisici, psichici ed emotivi non indifferenti: stare in piedi la maggior parte del tempo, sorridere sempre, affrontare quotidianamente piccole e grandi emergenze. Insomma, dietro il mondo dei villaggi turistici, delle vacanze all’insegna dello sfarzo e del divertimento ad ogni costo, si cela una realtà fatta di sfruttamento e afflizioni psicofisiche molto più grandi di quanto si sia portati a credere.
La scrittura di Lombezzi scorre veloce, regalando punte d’amara comicità. Un monologo tagliente e grottesco.
In scena un Tomas Leardini generalmente sul pezzo, giovane interprete dotato d’energia e generosità. Leardini interpreta un personaggio che oscilla tra entusiasmo e scoramento. Si muove agilmente sul palco. Canta, accenna brevi coreografie. Introduce a quella dimensione surreale che è il miniclub su una scena spoglia, facendo leva su fisicità, prossemica e gestualità oltre che su alcuni costumi e pochi oggetti di scena. Inquietanti sono invece le sue sporadiche apparizioni con una maschera sinistra da clown, veloci i cambi di “divisa”.
A far da sfondo una serie di personaggi buffi, paradossali ma intrisi di realismo: il capo animatore tiranno, il bagnino latin lover e bullo, gli animatori e le animatrici sottilmente ostili ad Emile.
Infine i bambini “suddivisi in livelli da videogame”, per fasce d’età, sono il training spietato che ogni animatore deve quotidianamente saper sostenere: mantenendo l’ordine senza perdere la gentilezza; garantendo la disciplina senza abbandonare la gioia; rispettando i tempi senza trasmettere stress; entusiasmando senza mostrare stanchezza; ballando, sorridendo, esultando. Dando il cinque, sempre.
“L’uomo palloncino” è la tragicomica testimonianza, a ritmi serrati, del paradossale mondo dell’industria del divertimento. Manca giusto una nota d’impegno politico-sociale. Appena abbozzate rimangono le motivazioni (anche commerciali) del divertimento organizzato e gli effetti sociali di questo meccanismo. Resta in ogni caso la sensazione di un buon talento drammaturgico, di cui attendiamo con curiosità i prossimi esiti.
L’UOMO PALLONCINO
Scritto e diretto da Giulia Lombezzi
Con Tomas Leardini
durata: 1h 5’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Campo Teatrale, il 17 marzo 2019