Madre Courage e i suoi figli. Elena Gigliotti riporta Brecht a Genova

Madre Courage (ph: Federico Pitto)
Madre Courage (ph: Federico Pitto)

La nuova produzione del Teatro Nazionale omaggia le messinscene di Squarzina e Sciaccaluga

Un ritorno pieno di responsabilità. Rimettere in scena, a Genova, “Madre Coraggio” di Brecht denota, sicuramente, una buona dose di coraggio.
In un contesto dove le tradizioni diventano pietre miliari non è facile riprendere quegli spettacoli che hanno segnato in modi e tempi diversi, delle epoche. Memorabile la regia di Luigi Squarzina, non brechtiano di provenienza, che nel 1970 ottiene uno straordinario successo di critica e pubblico affidando la parte a Lina Volonghi, con Lucilla Morlacchi nel ruolo della figlia muta.
Ad inizio anni duemila è poi Marco Sciaccaluga a riallestire il dramma, con Mariangela Melato (seppur non nella sua interpretazione migliore) e Ugo Maria Morosi.
Elena Gigliotti, genovese di formazione, sceglie per la sua “Madre Courage e i suoi figli” di fare i conti con tutto ciò. Ce lo racconterà in uno scambio di battute tra un atto e l’altro, in occasione della prima nazionale dello spettacolo, nel foyer del Teatro Modena.

L’impianto che la regista sceglie di proporre al pubblico è quindi piuttosto classico, con qualche interessante tocco personale. La scena si costruisce intorno al carretto della protagonista, una struttura surreale a base lignea arricchita da schermi led che propongono in loop gli spot del bazar nomade della donna.
Il logo, che richiama la famosa lettera gialla di un altrettanto noto fastfood, ci porta in un universo di fantasia ben ancorato su elementi di cultura pop universali. La robaccia a basso costo che Courage propone ai due eserciti in guerra tra loro viene, ad esempio, accostata al cibo di massa che ogni giorno, senza pensarci troppo, consumiamo.

Gli elementi scenici, carro compreso, vengono portati sul palco direttamente dagli attori, e collocati su una piattaforma centrale tonda e rotante, anch’essa azionata manualmente dagli interpreti. Sullo sfondo compaiono, nel rispetto della tradizione straniante brechtiana, alcuni spot televisivi che si alternano alle immagini della guerra. Il riferimento al conflitto ucraino è evidente, ma gestito con la dovuta attenzione. Lo spettacolo evita la retorica e, con intelligenza, prende spunto dalla realtà per portarci in un terreno altro, dove la feroce critica al capitalismo diventa incisiva e non banale proprio perché trattata con apparente leggerezza.

L’eterogeneità degli attori, accomunati da una generale appartenenza alla scuola di teatro genovese, rafforza il testo e carica la lunga performance di varietà visive non solo nei corpi e nelle voci recitanti, ma anche nei diversi momenti di danza e canto. Particolarmente vincente la scelta di Simonetta Guarino, straordinaria attrice comica che riesce con disinvoltura a sprofondare nel dramma, commuovendo lo spettatore, per riaffiorare poco dopo nella comicità. L’accento dell’est europa con il quale l’attrice si esprime, in contrasto con l’americano, il russo, il tedesco di altri personaggi, i modi rozzi e la fisicità corpulenta, la proiettano in un universo più ampio, e trasformano questa madre in una sorta di eroina contemporanea che, piena di difetti, non cerca altro che la sopravvivenza di sé e della sua sprovveduta prole.

“Madre Coraggio” qui rappresenta molto. Hai sentito in qualche modo questa responsabilità?
Naturalmente ho avuto molta paura. Mi è stato chiesto di pensare ad un classico legato alla tradizione di Genova e quindi ho guardato alla sua storia. Mi sono ricordata così che, quando sono entrata alla scuola di teatro, al Duse c’erano le immagini gigantesche della Volonghi che interpretava questo spettacolo; ne ero sempre stata affascinata e mi sono detta: “Perché no?”. In fondo se si decide di mettere in scena la tradizione è perché ci ha lasciato un segno importante, e rimetterla in discussione vuol dire custodire questa eredità pur camminando con le proprie gambe. Non sono mai stata attratta dal mito di distruggere i padri, perché in fondo alla mia generazione questa logica non ha portato molto. Mi sono chiesta invece quale sia realmente l’eredità che ci è stata lasciata. Credo che ci si debba davvero mettere in gioco con essa, anche sbagliando per capire, magari, che avevano ragione loro, i padri. L’importante è non restare chiusi in un museo, perché altrimenti non si fa il bene nemmeno alla tradizione stessa.

Che cosa senti di aver conservato di tutto ciò nel tuo lavoro?
Luigi Squarzina aveva avuto un’ottima intuizione scegliendo come protagonista della sua versione un’attrice comica, Lina Volonghi. Credo sia molto giusto fondare anche la simpatia di questo personaggio per creare dentro lo spettatore un moto interiore conflittuale. Il pubblico ride ad una battuta ma, se ci ripensa, Madre Courage ha appena detto che è bella la guerra, che la pace per fortuna è finita. Ne consegue un contrasto a mio avviso interessante. Per questo ho voluto seguire la sua strada, affidando il ruolo a Simonetta Guarino, che viene da quello stesso mondo.
Secondo me poi, ma dovrà dirlo il pubblico, si percepisce nella mia regia la tradizione della scuola genovese, mi riferisco soprattutto alla recitazione. Ho ascoltato il podcast della Volonghi, con gli occhi chiusi sentivo Eros Pagni… sono attori che conosco anche se sono di generazioni diverse dalla mia e ho tantissimo da imparare… C’è un codice che rimane e che si traduce nella tensione e nell’amore per il testo. Ecco perché, ad esempio, non ho tagliato praticamente nulla del copione originale.
Poi c’è la questione dell’accadimento, che è un tema complesso perché in uno spettacolo non sempre succede qualcosa e invece bisogna fare di tutto perché ciò possa avvenire continuamente (altro elemento della tradizione genovese che ho cercato di conservare).
Ho voluto infine fare dei veri e propri omaggi. Per citarne uno, nel secondo tempo c’è una scena tra il cuoco e Madre Courage che, nella regia firmata da Marco Sciaccaluga, secondo me era perfetta, e che ho voluto lasciare esattamente così. Il pubblico che avrà visto quell’edizione sicuramente la riconoscerà.
Oltre tutto questo si aggiunge il mio mondo pop, stravagante e sgangherato ma, a mio avviso, permesso in tempo di guerra per questi personaggi.

Madre Courage e i suoi figli
di Bertolt Brecht
traduzione Saverio Vertone
musiche Paul Dessau
regia Elena Gigliotti
con Simonetta Guarino
e in ordine alfabetico Sebastiano Bronzato, Didì Garbaccio Bogin, Aleksandros Memetaj, Andrea Nicolini, Aldo Ottobrino, Matteo Palazzo, Sarah Pesca, Alfonso Postiglione, Esela Pysqyli, Ivan Zerbinati
scene e costumi Carlo De Marino
coreografie Claudia Monti
musiche originali e adattamenti da Paul Dessau Matteo Domenichelli
luci Davide Riccardi
video Daniele Salaris
regista assistente Dario Aita
produzione Teatro Nazionale di Genova

durata: 3h

Visto a Genova, Teatro Gustavo Modena, il 10 maggio 2023
Prima nazionale

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