Il discorso del teatro con Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa

Marcido Marcidoris
Marcido Marcidoris
Ma bisogna che il discorso si faccia! (photo: teatrooutoff.it)

Il Premio della Critica Teatrale 2009 per la forza espressiva e la qualità di ricerca teatrale raggiunta nei loro più recenti lavori, fino all’ultimo, folgorante allestimento “…Ma bisogna che il discorso si faccia!”, ha visto validare la grande qualità delle fatiche dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa.

Questo quadro per un’esposizione spettacolare, ispirato a “L’Innominabile” di Samuel Beckett, la cui drammaturgia e direzione è firmata dallo storico regista della compagnia Marco Isidori, con scene e costumi di Daniela Dal Cin e interpretato oltre che dallo stesso Isidori anche da Maria Luisa Abate, Paolo Oricco, Anna Fantozzi e Stefano Re, riporta la compagnia, dopo “Happy Days in Marcido’s Field” (1997) e “Trio Party” (2004) ad un “corpo-a-corpo con la scabrosa ma tonificante atmosfera della drammaturgia beckettiana”.

La reimmersione nei testi del maestro del Novecento avviene stavolta con “L’Innominabile”, o meglio con una sua riduzione plasmata su misura per favorire, da parte del gruppo “una riconsiderazione critica dell’azione teatrale in quanto atto vivente: un atto che dovendo necessariamente compiersi nelle strettoie ineludibili della realtà spazio/temporale, abbisogna che i suoi ‘agenti’ siano in una qualche (poetica!) misura, ‘agenti segreti'”.
Lo spettacolo inizia dietro un telo dipinto, che occlude la vista della scena. Dietro si agitano voci, sussurri senza speranza di una vita in gabbia, in un universo senza dio. Il telo si ammaina e appaiono i sacrificati: cinque umanoidi crocifissi su grandi croci di ferro, dalle sembianze deformi, vestiti di maschere oltraggiosamente fumettistiche (citazione forse della rana di Martin Kippenberge che scandalo aveva fatto nella mostra a Bolzano).
Si vive questa dimensione di immobile ricerca di salvezza, si spera che qualcosa si muova, che qualcosa si faccia, che “qualche Cristo scenda dalla croce e anche gli uccelli faccian ritorno”. No. La croce è destino assoluto. Oltre quella il vuoto. L’uomo è nella sua gabbia, ci è costretto. Non ha soluzione. A quel punto lo spettatore è costretto a guardare alla parola come unica fonte di salvezza. E qui la grandezza di Beckett e dei suoi interpreti si fa estrema, implacabile nella sua purificante ed isterica necessità.

Fondata nel 1984 da Marco Isidori, che ha diretto tutti gli spettacoli, da Maria Luisa Abate (attrice), da Daniela Dal Cin (scenografa e costumista) e da Sabina Abate, la compagnia torinese ha esordito al festival “Premio Narni Opera Prima”, nel 1986, con uno studio tratto da “Les Bonnes” di Jean Genet, cui ha fatto seguito un lavoro sulla tragedia e sul classicismo. Nel 1991 arriva il Premio Ubu Speciale con “Palcoscenico ed Inno”, dalla Sirenetta di Andersen. “Il cielo in una stanza” (1994), poi “Gengis Khan” e infine l’approdo sulle scivolose rive beckettiane.
Nel 1997 a Daniela Dal Cin viene conferito il Premio Speciale Riccione “Aldo Trionfo” per il lavoro scenografico.

“…Ma bisogna che il discorso si faccia!” è un lavoro che, se sguazza nell’assurdo, lo fa per utilizzare la contraddizione stridente con la drammatica condizione umana. Il sottotitolo: “Concerto grosso”, allude forse al faticosissimo e prezioso lavoro vocale portato in scena.

Poterci confrontare, dopo lo spettacolo, con l’appuntita determinazione ideale di Maria Luisa Abate, sulla scena dell’Out Off di Milano che ha ospitato l’anteprima, è stata occasione di entrare in contatto con uno degli esperimenti artistici più rimarchevoli del teatro nostrano ad oltre vent’anni dalla fondazione. Le sue parole sono non solo esperienza e disponibilità al confronto, ma guerrigliero programma di utilizzo del teatro come mezzo e non come fine. Una lezione per molte giovani generazioni.

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