E’ appena iniziato il secondo giro di repliche dell’“AmletOne” al neonato Teatro Marcidofilm! di Torino quando torniamo a vedere lo spettacolo firmato da Marcido Marcjdoris e Famosa Mimosa.
Abbiamo seguito da vicino alcune tappe della preparazione di un testo che è coinciso con l’apertura del loro nuovissimo spazio di corso Brescia, firmato ovviamente Daniela Dal Cin.
Lontani i tempi delle letture collettive del copione a casa Abate, quando ci raccontavano che avrebbero aperto il loro teatro, che sarebbe stato un grande momento, che l’“AmletOne” sarebbe stato il concentrato e una delle punte più alte delle loro futuriste produzioni.
Partiamo quindi proprio dallo spazio: trovare la casa giusta non è stato facile nemmeno per loro, che di sfide se ne intendono. Il motivo per cui l’hanno chiamato Marcidofilm! ce lo spiega una delle anime fondanti della compagnia, Maria Luisa Abate (la Gertrude dell’AmletOne) nella chiacchierata collettiva realizzata con lei e Paolo Oricco (Amleto) subito dopo la fine dello spettacolo, di cui il video di oggi è testimonianza.
Per entrare nel “Tempio Marcido”, che è arrivato a suggellare i trent’anni di attività della compagnia, bisogna prima oltrepassare un cortile tipico della Torino più dura (lì dove la storia si fonda con il popolo), che spunta dalle tante ringhiere che guardano verso il centro, proprio come nelle sale da spettacolo o nei Corrales di spagnola memoria. E’ un’entrata in un non-teatro paradossalmente più classica di quello che ti aspetta quando superi la soglia vera del Marcidofilm!, una piccola porta brandizzata con il nome del gruppo.
Varcata questa soglia la musica cambia: la luce delle lampadine a vista, che rimanda alle luci della ribalta, avvolge e scalda insieme al bianco delle pareti che incontra il rosso vivo del pavimento. Il tutto ha dimensioni molto ridotte ma una cura minuziosa dei dettagli. Perfino i bagni sono curatissimi e particolari, evidenziando uno sforzo nel voler accogliere lo spettatore nel migliore modo possibile.
Siamo in un teatro piccolo eppure pare d’essere nel foyer di una grande sala, ma è la platea che meraviglia più di tutto.
Le circa cinquanta poltroncine sono collocate su una gradinata di legno che rende vicinissime alla scena anche le ultime file, mentre la regia è installata dietro le quinte ma può seguire lo spettacolo grazie ad una videocamera.
Ecco un’ulteriore risposta al nome dello spazio: ci accoglie come un cinema d’essai, ma al posto della proiezione ci sono gli attori in carne ed ossa.
Il palco, piccolo ma piuttosto profondo, è attrezzato con tutto l’occorrente comprese pedane rotanti, carrucole e americane. La casa dei Marcido, varcata la soglia consentita al pubblico, si completa di una sala prove arricchita da tutte le locandine delle produzioni passate, oltre che da una serie di ambienti di servizio tecnico/artistico.
L’“AmletOne” inizia con un piccolo sussulto provocato al pubblico da uno scherzo teatrale che irrompe nel sipario hollywoodiano disegnato dalla Dal Cin e raffigurante una sorta di Guernica dei più importanti marchi di case di produzione cinematografiche americane.
Al suo levarsi, la corte di Claudio e Gertrude si presenta in tutta la sua sgargiante esagerazione, con i due troni di legno al centro e la corte dominata da un giallo sparato dai vestiti degli attori e dai volti bianchi dei protagonisti, tranne quello di Claudio, il regista e autore Marco Isidori.
Per lui e Gertrude, sul volto, nastri adesivi di un rosso acceso che obbligano lo sguardo a trattenere un ghigno inquietante, ad accendere visivamente la cattiveria del personaggio.
Il “dipinto umano” così pieno di luce è sostenuto dalla più consueta recitazione Marcido, quel metodo creato da loro che affonda nel barocco di ogni singola parola, in apparente contrasto con la modernità di movimento e scenografia.
Un discorso a parte merita, come spesso succede nei loro spettacoli, il testo che Isidori ha prodotto ispirandosi all’Amleto ma afferrandolo per i capelli e trascinandolo ai giorni nostri per inserirci ad esempio una canzone di Sergio Endrigo in una scena finale. Un copione che è forse di più un libro da leggere almeno due volte per coglierne i tanti rimandi, teatrali e non.
Mentre lo spettacolo procede, gli attori spostano e ricollocano gli elementi della scena, accompagnando chi guarda in una progressiva discesa negli inferi della mente del protagonista.
Amleto, quindi ma soprattutto Paolo Oricco, è il vero asso nella manica dei Marcido: ogni volta riesce a catturare e a porsi nuovi obiettivi, come ci racconta nell’intervista. Qui lo troviamo biondissimo e imbrigliato in una tuta nera lunare che lo vuole staccare da subito rispetto al resto dei personaggi. Il duello attoriale necessario arriverà nel dialogo con la Gertrude-Abate, dove il figlio rimprovererà la madre per lo scandalo con Claudio.
“AmletOne” segna anche un importante momento di crescita per i più giovani della compagnia: Valentina Battistone porta tutta la sua energica tensione a Laerte, mentre bambola Ofelia ha gli occhioni dolci di Virginia Mossi; a Stefano Re il compito di dare a Polonio quel tocco di immediata comicità che lo caratterizza, mentre ci sembra crescere il genovese Daniel Nevoso, da poco in compagnia e qui teschio amletico, nel ruolo di Orazio.
L’apertura di Marcidofilm! coincide con una serie di momenti di approfondimento, incontro e spettacolo che la storica compagnia torinese sta mettendo in moto dentro e fuori il teatro. In calendario intanto le repliche di alcuni loro spettacoli (a partire da “Pinocchio” l’11 e 12 febbraio), ma l’obiettivo è portare in scena qui tutte le loro produzioni, anche quelle (molte) caratterizzate da un grande impianto scenotecnico che necessiterà inevitabilmente di una revisione per poter entrare nella nuova sala.
Proseguono anche le collaborazioni con gli Stabili, in particolare con quello di Torino; saranno infatti al Gobetti dal 3 all’8 maggio con “Bersaglio su Molly Bloom” dall’Ulisse di Joyce, mentre dopo l’incontro al Chiostro Nina Vinchi del Piccolo di Milano è ipotizzabile anche un loro ritorno milanese.
Vi lasciamo alle immagini.