Marco Sciaccaluga. A lezione da Cechov e dai grandi classici

Marco Sciaccaluga
Marco Sciaccaluga

Incontriamo Marco Sciaccaluga in un momento di pausa tra una prova di allestimento e l’altra con gli attori. In palco fervono i preparativi e i tecnici proseguono il lavoro di un assemblaggio scenografico che, a prima vista, appare piuttosto imponente ed insolito.

Sciaccaluga ci fa accomodare in platea: siamo al Teatro della Corte di Genova, dove sta preparando la regia de “Il gabbiano” di Cechov, in scena anche Elisabetta Pozzi, che debutterà il prossimo 28 febbraio per restare in scena fino al 19 marzo.

Lo spettacolo, nuova produzione dallo Stabile di Genova, viene rappresentato nella versione del 1895, la cosiddetta versione del censore, come ci spiega lo stesso Sciaccaluga durante l’intervista, nella traduzione di Danilo Macrì.
E’ la prima volta che in Italia si assisterà a questa particolare versione del testo cechoviano, ed è per il regista un importante motivo di orgoglio.

E’ interessante potersi confrontare con un regista estremamente disposto al racconto e all’analisi dei suoi lavori, forse per quella vocazione all’insegnamento che lo ha portato, fra l’altro, a ricoprire il ruolo di docente all’Università Statale di Milano nel corso di “Istituzioni di regia”.

La sua carriera teatrale, quasi completamente sviluppatasi all’interno dello Stabile ligure, del quale è stato direttore artistico per quindici anni insieme a Carlo Repetti, vanta un gran numero di allestimenti, e nel 2006 ha vinto il Premio Olimpico del Teatro come miglior regia dell’anno per “Morte di un Commesso Viaggiatore” di Arthur Miller.

Con lui abbiamo parlato di teatro a partire dalle sue origini: “I grandi classici – dalla tragedia greca a Shakespeare o Cechov – non parlano dal passato, ma dal futuro. Sono dei profeti che ancora oggi ci fanno venire i brividi lungo la schiena”.

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