Una stanza ipotetica di un tempo ipotetico. Alle piccole finestre di un interno immaginario sono appese tende di giornali incollati. Per terra un percorso di fogli di quotidiani. Tre entrate, due laterali e una sul fondo, anch’esse chiuse da giornali. Il resto è tutto nero: gli abiti delle due pianiste che accompagnano lo spettacolo, i loro pianoforti a muro, le pareti e l’abito in giacca e pantaloni del protagonista, che irrompe sulla scena lacerando uno dei “muri di giornale”.
Da qui prende avvio una sorta di musical attraverso le tante opere di Giorgio Gaber e Sandro Luporini. Un mondo dove si mescolano ironia, satira, disgusto, amore e odio per una società sempre più allo sfascio e sempre meno consapevole della destinazione finale verso cui si sta dirigendo. Un universo tanto strano quanto terribilmente concreto che G. G. sapeva portare nella musica e nel teatro.
Ed era proprio lì che avveniva l’ incantesimo: sulle assi del palco quell’omone goffo trasportava tutto se stesso ed accompagnava per mano lo spettatore incredulo su una giostra fatta di tante emozioni contrastanti, sempre in bilico tra finzione e realtà, tra sogno e canzone.
La difficoltà ad affrontare il “mondo Gaber” vive nel trovarsi a confronto con un sentiero impervio che Neri Marcorè percorre a testa alta, uscendone senza dubbio da vincitore.
Alte le sue qualità canore, calda e rassicurante la voce, agile e sinuoso nei movimenti come un buon attore di musical diretto da un bravo regista sa fare. Una nuotata lunga in un mare tempestoso, da cui l’attore comico riesce comunque ad uscire arrivando a riva sano e salvo.
Quello che manca, però, è la discesa in profondità, l’imperfezione, l’improvvisazione. Assistere a questo “Signor G” è come fare un giro su un treno che, comunque, procede dritto sulla sua strada, veloce, prevedibile, a tratti noioso. Manca quel rapporto stretto tra parola recitata e parola cantata, tra cuore e mente. Marcorè “recita” un copione che non traspare come vita vera di uno dei cantautori più grandi del nostro panorama musicale. Le battute sono le stesse che Gaber sembrava improvvisare, i gesti perfetti e controllati cozzano con quei guizzi di rabbia ed empatia totale con la musica che il vero signor G. regalava al pubblico, mentre la regia non riesce a collegare in modo originale una canzone all’altra.
Non sappiamo se G. G. preparasse o studiasse a tavolino tutto ciò, ma quello che ricordiamo è che, le sue, sembravano improvvisazioni sceniche dell’ultimo secondo. Qui, al contrario, tutto è dichiaratamente preparato e confezionato, in modo troppo elegante e superficiale.
Allo spettacolo vanno tuttavia due meriti che non si possono non sottolineare: innanzitutto il coraggio di portare in scena uno stile ed una tipicità troppo difficili da imitare; e poi il ricordarci, ancora una volta, quanto Giorgio Gaber sia stato grande e come continui a lasciare un vuoto nel panorama del teatro-canzone.
Un certo signor G
dall’opera di: Giorgio Gaber e Sandro Luporini
regia: Giorgio Gallione
con: Neri Marcorè
al pianoforte: Silvia Cucchi e Vicky Schaetzinger
elaborazione musicale: Paolo Silvestri
durata: 1h 40′
applausi del pubblico: 4′ 04”
Visto ad Alessandria, Teatro comunale, il 20 febbraio 2009