Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca. Moltissimi conoscono Mariangela Gualtieri, oltre che per il suo impegno teatrale, per le sue poesie e le raccolte di versi, fra le quali “Antenata” (Crocetti, 1992), “Fuoco centrale” (Einaudi, 2003) e “Senza polvere senza peso” (Einaudi, 2006).
Le due passioni hanno sempre trovato, nell’impegno della artista cesenate, un’unità che ha negli anni animato quasi tutti gli spettacoli di Teatro Valdoca. L’esperimento scenico promosso insieme a Cesare Ronconi, come la sua poesia, ha lavorato per rompere la concezione ordinata del pacchetto metrico e muoversi fra corse e stasi nel bosco delle visioni inconsce, quasi alla ricerca di una estrema terapia della memoria e dell’indagine in sé.
Abbiamo incontrato Mariangela Gualtieri a Bergamo, a margine di uno dei seminari organizzati dal Teatro Tascabile nel corso di Teatro Vivo, la rassegna che ogni anno porta in città importanti studiosi di teatro contemporaneo. Dopo l’anteprima di dicembre, la seconda parte della manifestazione ha visto protagonista proprio la Gualtieri con “Senza polvere, senza peso”, l’incontro/spettacolo con le sue letture ospitato nell’ex monastero del Carmine, nella Città Alta.
La poetessa, un microfono amplificato e una rosa bianca a ricordare Renzo Vescovi, figura di riferimento della associazione culturale bergamasca.
In queste letture, tratte da “Senza polvere, senza peso”, protagonista è la poesia in tutte le sue forme: come voce, musica, respiro, parola; un lavoro che è stato poi ampliato nel seminario di tre giorni dedicato alla “Trasmissione orale della poesia ed uso del microfono”, un appuntamento formativo che ha registrato il tutto esaurito e dedicato appunto alla lettura di poesie al microfono, per imparare a utilizzare voce e respiro.
“Cercherò di trasmettere ciò che so sulla lettura di versi al microfono, ciò che ho compreso del microfono, della voce, del respiro e del dire versi – ha spiegato la Gualtieri presentando il suo appuntamento – Non una tecnica di recitazione, nessuna tecnica, a parte un semplice riscaldamento della voce. Piuttosto uno stato del respiro, per poter entrare nella melodia dei versi, per trovarne la ritmica, per meglio entrare nelle immense architetture sonore che il microfono contiene”.
Quello che ha però riservato alla nostra video conversazione ci sembra sia anche molto altro: un parlare del poco, del niente, delle minuscole architetture della felicità, della conoscenza, del sapere e del non sapere, del vivere.
“è poco il poco che so e di questo
poco io chiedo perdono. Io chiedo
perdono per quello che so, perdono io chiedo
per tutto quello che so”.