Matilde Vigna e Anna Zanetti firmano “Chi resta”, sulle perdite tra madri e figli

Chi resta (ph: Luca Del Pia)
Chi resta (ph: Luca Del Pia)

Daniela Piperno coprotagonista dello spettacolo al debutto a Bologna

L’esperienza di essere figli, il tema della maternità, la perdita di un genitore: difficile pensare a temi più universali di questi, capaci di toccare a loro modo ciascuno di noi.
Nello spettacolo “Chi resta”, ideato e diretto da Matilde Vigna e Anna Zanetti, che ha debuttato in prima assoluta a fine novembre al Teatro delle Moline di Bologna, essi vengono affrontati con due peculiari chiavi di lettura: quella generazionale e quella che potremmo definire come una suggestione fisico-astronomica, ossia un punto di vista che ruba, a queste scienze, idee sulla trasformazione della materia, su buchi neri e dimensioni parallele attraverso le quali interpretare la morte e, in questo senso, il passaggio dalla presenza all’assenza.

La scena si apre su un ambiente totalmente bianco e asettico, con un cubo / sgabello e un parallelepipedo / panca e una giovane donna che scopriremo avere 37 anni (Matilde Vigna, premio Ubu e premio Duse) rannicchiata in posizione fetale, che prima debolmente e poi con sempre più forza, chiama la mamma.
La madre (Daniela Piperno) entra in scena e da subito rompe la tragicità dell’atmosfera, invitandola a scuotersi ed alzarsi e – come farebbero molte madri – non perdendo l’occasione, neppure in quel momento difficile, di rimproverarla per quello che sta indossando e per il disordine della stanza.

Dopo qualche scena scopriremo che quel dolore quasi annichilente è dovuto proprio alla morte improvvisa della madre, e che quindi quel dialogo tra le due sta avvenendo, in qualche modo, dopo questo momento.

La relazione tra madre e figlia in scena si dipana fra continui scarti, tra distanza e vicinanza: se questo dolore fortissimo ci potrebbe far pensare a una relazione molto vicina, scopriremo dopo poco, tra battibecchi e rimpianti, che non era questo il caso, e infatti il tema dell’allontanamento, non solo fisico ma comunicativo ed emotivo, tra genitori e figli una volta che questi ultimi escono di casa viene toccato più volte.
Dall’altro lato assistiamo a scene molto dolci, come quella in cui, in una sorta di flashback, la madre spazzola i capelli alla figlia, ripetendole più volte che ce la può fare: di nuovo si ribalta il segno di questa relazione che – grazie anche a una ammaliante interpretazione di Daniela Piperno e in generale a un’ottima chimica tra le due attrici – rimane sempre anche leggera e divertente, calorosa senza essere “zuccherosa”, a tratti tesa senza mai essere melodrammatica.
Sono scarti che ricalcano quello principale, ossia la distanza generata dalla morte e questa rinnovata vicinanza quasi surreale. Una tensione (distanza/vicinanza) che segna dal principio, in maniera fatale, ogni relazione genitore-figlio, in cui la forza dell’attaccamento primordiale si scontra con un meccanismo che, quando funziona al meglio, è fatto proprio per rendere il figlio indipendente, lontano dalla madre, in una cornice di scarto generazionale che complica la comunicazione.

Se questo è vero per ogni generazione, nello spettacolo emerge bene la realtà di una figlia appartenente alla generazione dei millennial. Ad esempio i dubbi sulla stessa maternità, rinviata ad un’età più avanzata rispetto alle consuetudini del passato, e poi complicata dall’orientamento sessuale, e considerata eticamente discutibile a causa della crisi del pianeta, e resa infine impossibile dai sintomi di una menopausa anticipata, un fattore che rende diverso questo tipo di lutto di figlia (“ultima figlia” si autodefinirà in scena, nell’intenso monologo finale interpretato da Matilde Vigna) da altri di epoche precedenti.

In questo senso specificamente contemporaneo si gioca anche il rapporto tra madre e figlia, che apre necessarie finestre su come i ruoli influiscono sull’identità femminile in generale.
La composizione, l’organizzazione familiare e le reti sociali sono differenti rispetto al passato, e quindi questa figlia unica si trova da sola nel momento in cui la colpisce un lutto che le spezza il respiro, a dover gestire tutti gli adempimenti burocratici e il funerale. Si ritrova catapultata, in un certo senso, in un mondo rovesciato, in cui i boomer hanno in mano la situazione e potrebbero, se prima o poi capissero davvero cosa sono, creare meme su millennial impacciati e imbarazzanti.
Un mondo di carte da firmare, telefonate da fare, ritualità da rispettare, presenze fisiche inevitabili come quella dell’elogio funebre rendono molto bene l’idea dello sforzo goffo di conformarsi a qualcosa di distante. Qualcosa che appartiene a una tipologia di adulto che un millennial, anche se giunto a 37 anni, fatica a pensare di poter diventare, perché spesso non ne vede il senso. Non si tratta di mettere le competenze generazionali su una scala di valore, ma di vederle utilmente affiancate e, per una volta, anche se in scena è troppo tardi, provare a imparare gli uni dagli altri.

Se tutto questo emerge molto bene, crea immedesimazione, commozione e spunti di riflessione, anche grazie a un attento lavoro di interviste su esperienze personali sul tema che ha portato alla nascita di un testo di alta qualità, l’altra chiave di lettura, relativa alle riflessioni scientifiche sul cosmo, sui buchi neri e sulle dimensioni spazio-temporali alternative, si sarebbe forse potuta approfondire di più, perché offre un’angolatura inaspettata e originale, concreta e altissima e, forse per tutto questo, dà vita alla scena più emozionante dello spettacolo. Quella della madre che, in una scenografia in cui finalmente sono riapparsi i colori, si infila un costume da astronauta e parte, questa volta per sempre…

La videoproiezione di immagini dallo spazio intervalla i passaggi tra le scene; i suoni richiamano quest’ambito e alcuni riferimenti costellano il testo (come quando la madre canticchia la canzone “Lepre” di Lucio Corsi, che parla di un allunaggio).

Nella drammaturgia, pubblicata in “Sopravviverci. Due pezzi sulla perdita” (Sossella Editore, che comprende i testi “Chi resta” e “Una riga nera al piano di sopra”), compaiono anche monologhi della madre sui buchi neri, sulla creazione e la distruzione della materia, sulle leggi dello spazio e del tempo che, con un bilanciamento perfetto tra scientificità e poeticità, aprono scenari sull’interpretazione della morte, del distacco e dell’assenza, che tuttavia nella versione finale dello spettacolo rimangono solo accennati.

Se è comprensibile la scelta di mettere più a fuoco i primi aspetti di cui abbiamo parlato, un obiettivo ben riuscito, chissà se queste suggestioni potranno contaminare in qualche modo i prossimi lavori di Matilde Vigna che, nell’incontro col pubblico post-spettacolo, ha confermato di avere ancora un conto aperto con il tema della perdita. Un argomento al centro anche del suo precedente spettacolo, “Una riga nera al piano di sopra”.
Qualsiasi sia la direzione, il lavoro di Matilde Vigna, con la fecondità delle sue idee e la qualità della scrittura, unite alla capacità di costruire team artistici affiatati ed eterogenei, sarà da seguire.

Chi resta
ideazione e regia Matilde Vigna, Anna Zanetti
con Daniela Piperno, Matilde Vigna
video Federico Meneghini
progetto sonoro Alessio Foglia
musiche originali spallarossa
luci Umberto Camponeschi
dramaturg Greta Cappelletti
consulenza, scene e costumi Lucia Menegazzo
consulenza scientifica dott. Matteo Nobili
scene costruite nel Laboratorio di Scenotecnica di ERT
responsabile del Laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini
costruttore Sergio Puzzo
scenografa decoratrice Benedetta Monetti
direttore tecnico Massimo Gianaroli
capo elettricista Sergio Taddei
fonica Manuela Alabastro
sarta Elena Dal Pozzo
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
in collaborazione con La Corte Ospitale
con il sostegno del MiC e di SIAE, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”
elaborazione immagine astronauta Antonio Visceglia
foto di scena Luca Del Pia

durata 60’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Bologna, Teatro delle Moline, il 6 dicembre 2023
Prima nazionale

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