Medea su viale Zara. Elena Cotugno sui sentieri della prostituzione

Elena Cotugno in "Medea per strada"
Elena Cotugno in "Medea per strada"

Sette spettatori su un pulmino sgangherato. Nella Milano di fine giugno, quando l’afa all’imbrunire non è così fastidiosa, l’aria condizionata arriva dai finestrini aperti.
Siamo nella periferia Sud della metropoli lombarda, quella che da Porta Romana conduce alla campagna verso Lodi, tra Corvetto, Chiaravalle e Rogoredo. Sul pulmino guidato dal regista Gianpiero Borgia, sale Medea, bellissima ragazza dell’Est maliarda ed empatica.
Medea (Elena Cotugno) è un’autentica conoscitrice del genere umano, in particolare dei maschi, esplorati attraverso il mestiere della strada, di notte, quando esseri fragili, cinici e solitari abbassano i pantaloni e le difese.

Inizia così “Medea per strada”, viaggio sui sentieri della migrazione e della prostituzione, che Gianpiero Borgia ha ideato con Fabrizio Sinisi.
Partenza dal retro del Teatro Franco Parenti. La prima sosta è per raccogliere la protagonista. Si può parafrasare Manzoni: l’abito, il portamento e quello che si può distinguer dell’aspetto, non lascian dubbi sulla sua condizione. Medea siede, ascolta musica, canta in rumeno. Inizia a chiacchierare, e noi non possiamo esimerci.
Alle spalle un abat-jour, cartine dell’Italia e dell’Europa: è questa la rudimentale scenografia site-specific pensata da Filippo Sarcinelli. La donna racconta la propria vita: l’infanzia spensierata a Bucarest, il padre insegnante, in rovina perché oppositore di Ceausescu, il rifugio nella stagnante campagna rumena. La fuga verso l’Italia, in cerca del sole. Una storia come tante, di stenti e progetti. Fra speranze tradite e naufragi. E un amore, che promette tanto e mantiene poco.

La famiglia – di partenza e d’approdo – è luogo di subalternità e frustrazione. Desiderio e impulso vitale sono irrealizzabili. Questa Medea sorniona, tragica, consapevole, condivide con noi la propria umanità spoglia e scarna. L’orgoglio, la dignità, la quotidiana lotta per l’esistenza l’hanno resa avida, sensuale e accanita. In un succedersi di eventi, coscienze elementari palpitano dolorose verità.
Medea innamorata e svenduta, tradita nei suoi progetti di moglie e di madre, gettata in strada in pasto gli avvoltoi. Neppure la gravidanza la salva. La risposta di questa donna oltraggiata è violenza cieca. È vendetta crudele, atto velleitario di chi sceglie la distruzione altrui non avendo più una vita da vivere.
Il pulmino galleggia per una Milano a cerchi concentrici. La periferia è attorno, è dentro di noi. “Porta Rumana bella, Porta rumana, ci stan le ragazzine che te la danno”. Milano è bella e crudele, mentre il cielo si tinge di rosso e il verde imbrunisce sui tronchi.

“Medea” è un’indagine sulla prostituzione, lontana da pudore e pietismo; un’inchiesta lucida e acuta. È meditazione, profonda e dolorosa. Nessun indugio sulle perversioni che fanno parte del mondo del sesso a pagamento. Non c’è lirismo nel racconto della protagonista: solo un’estemporanea comicità sottile, che oscilla fra concreto e astratto. Sono frammenti di neorealismo. È un viaggio che sembra non finire mai. È un teatro dove anche noi recitiamo seduti, senza sentirci sedentari né anemici.

La regia propone una scenografia in movimento che varca la soglia del teatro di posa e cerca scenari che solo la natura può offrire in modo debito. Gli elementi naturali danno maturità all’atmosfera, verosimiglianza agli elementi, carattere alle vicende. Lontano da scenari di cartapesta e dal manierismo attoriale, Elena Cotugno è interprete vivida di un vero da vedere, vivere, condividere. Non si sfugge al suo sguardo, alla sua forza magnetica, alla sua capacità maieutica di sdoganare pieghe oscure del nostro carattere e della nostra vita.
“Medea per strada” è anche un pezzo di cronaca nera. Scandaglia un mondo sommerso, fatto di angoli e strade, di anime salve, per giungere al fondo della fragilità umana, fino all’universalità di temi legati alla maternità, al dolore, alla condizione di donna straniera, alla crudeltà dei moderni Giasone.
Il passaggio dal mito alla tragedia del quotidiano è breve. È lungo il nostro riflettere, quando il sole è ormai tramontato e cala il buio, sui drammi dello sfruttamento e della follia.

MEDEA PER STRADA (MEDEA SU VIALE ZARA)
ideazione e regia Gianpiero Borgia
di Elena Cotugno in collaborazione con Fabrizio Sinisi
con Elena Cotugno
scene Filippo Sarcinelli
musiche Papaceccio MMC
luci Pasquale Doronzo
produzione Teatro dei Borgia

durata: 1h

Visto a Milano, con partenza dal Teatro Franco Parenti, il 24 giugno 2017

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