Mercuzio non vuole morire. Racconto tra immagini e parole

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Armando Punzo in Mercuzio non vuole morire
Armando Punzo in Mercuzio non vuole morire

Mercuzio è il mio nome. Giuro che me ne andrò via presto, chiedo solo dieci minuti della vostra attenzione, credo che bastino.

Ho infatti una parte così piccola, ma così piccola, che potrei richiuderla in un minuscolo breviario, ed è per tale ragione che il mio istrionismo l’ha così dispiegata a dismisura da renderla perenne.

Così piccola che a nessun attore, nemmeno ad uno di terza fila, verrebbe in mente di confrontarsi con essa. Eppure amici miei niente Lear, Amleto, Riccardo… Mercuzio e solo Mercuzio.

Dieci, cento, mille parole per regalare un’idea, più barocco del mio stesso autore; dieci, cento, mille salti e saltelli, boccacce e birignao per raccontare una fola.

Questa è la mia vendetta.

Soprattutto per la mia morte i guitti si venderebbero l’anima, morte accidentale, quasi un graffio, uno sberleffo del destino, ma scena madre cari signori, e pur anco nella più bella piazza di Verona, e così la mia morte si trasforma in un’apoteosi.

La piazza diventa il mio palcoscenico, il vasto spiazzo da riempire con i miei gesti, con la mia voce possente che si inalbera, che si spezza, che ritorna impetuosa, che ricade al suolo con il mio corpo. E mentre tutto sembra finito ecco che il mio istrionismo mi concede un ultimo guizzo, nove vite, nove vite come i gatti.

Mercuzio non deve morire
Mercuzio non vuole morire (photo: volterrateatro.it)

Quale attore non desidera morire in scena? Al mio autore capita spesso di proporlo, ma la mia è una morte speciale, magnifica e stupendamente teatrale.

Innanzitutto è la madre delle morti, da lei discendono tutte le altre, quella di Tebaldo, di Romeo, di Giulietta, del povero Paride che mi pare debba essere anche lui qui da qualche parte, l’essere più vitale della storia; l’essere in cui tutti i doni della giovinezza si sono concentrati con maggiore soavità deve per forza lasciare il palcoscenico ai due protagonisti, al loro amore contrastato, ai loro sospiri melodrammatici.

Che schifo, sempre a tubare quei due come piccioncini, a guardare la luna da quel balcone, sempre costretti dalle regole a nascondersi, a fare tutto in fretta, invece di fuggire da tutti e da tutto, come avrebbe fatto il sottoscritto con la sua donna, anche quella del momento. Sì cari signori, non sono fatto, io, per i legami duraturi; loro invece si sono messi sotto le ali della chiesa, di quel frate Lorenzo, e si è visto come è andata a finire.

E poi chi muore giovane è caro agli dei. Ed anche il mio autore deve essere caro agli dei, se sono poi i suoi personaggi più giovani a morire.

Morire in scena è eccitante quasi quanto scopare, sai innanzitutto cosa succede dopo, e non è cosa da poco, vedi l’emozione sul volto degli altri personaggi e poi ti accorgi dal silenzio degli spettatori che anche loro fremono per il tuo distacco, insomma ti sono vicini.

Mercuzio non vuole morire
Mercuzio non vuole morire (photo: volterrateatro.it)

Essere o non essere, questo è il problema; la morte per te non esiste, non esiste come personaggio perché rivivrai dieci, cento, mille volte, e non esiste come attore perché fai finta di morire.

Insomma lì, in quel momento, non succede niente, devi solo chiudere gli occhi, assecondare il tono, l’intonazione della voce, a meno che non sei sfigato come Molière: lui c’è morto veramente in scena, ma questa è un’altra storia.

Inno all’amicizia la mia parte. La mia allegria è la stessa di Romeo quando Romeo è triste, la mia baldanza è la stessa di Romeo quando Romeo è ritroso, la mia voglia di libertà è la stessa di Romeo quando Romeo è prigioniero dei catenacci della consuetudine.

E lui cosa fa, sempre alle prese con quella lagnosa della Rosalina, m’ama non m’ama, l’amo non l’amo, sempre immusonito senza mai sapere cosa fare, io sempre allegro e vitale alle prese con nuove ragazze, con nuovi racconti d’amore.
Quello invece con quella sua volontà dell’amore eterno, così eterno che sappiamo come è finita.

Ma il tutto è anche merito mio, io ho saputo della festa in casa Capuleti, io l’ho spinto fra le braccia di Giulietta, a ballare con lei sotto gli occhi di tutti, è così che si fa, caro Romeo, è così che si sfida la vita.

Anche con le armi, lo confesso, mi è sempre piaciuto menare le mani, la mia spada è stata la più lesta di Verona, l’archetto del mio violino il più teso e melodioso nel suonare la musica giusta.

Sfrontato verso la vita, teso ad assaggiarne ogni frammento, ogni attimo fuggente, ogni più lieve soffio passeggero, a goderne ogni più intimo sorriso, nove vite come i gatti, ma una, una sola purtroppo, è l’opportunità per assaggiarne tutti i sapori.

E così peste alle vostre famiglie, Montecchi e Capuleti che avete interrotto il fluire dei miei sensi, con quante ragazze avrei potuto fare l’amore, in quanti letti da campo meno umidi avrei potuto dormire, in quanti duelli avrei potuto rivaleggiare.

Ovviamente nessuno può saperlo, ed è questo che mi fa tremendamente incazzare, nell’arte e nella vita è la stessa cosa. Ma sto diventando filosofo, e come sempre ho poco tempo e ora devo morire.

Vi lasciamo oggi al primo dei video realizzati quest’anno durante VolterraTeatro, dedicato allo spettacolo della Compagnia della Fortezza “Mercuzio non vuole morire”.

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