Le Metamorfosi di forme mutate del Lemming, tra esoterismo e seduzione

Metamorfosi (photo: Marina Carluccio)
Metamorfosi (photo: Marina Carluccio)

Siamo sempre imperfetti, noi spettatori, e ora – pare – tanto come non mai: sempre troppo vicini o invece troppo lontani tra noi, ora troppo prossimi a quello che accade in scena, ora troppo distaccati ed insensibili.
Questa la riflessione che ci si porta a casa, in modo positivo e costruttivo, dopo aver assistito – a gruppi di cinque – all’ultimo lavoro, “Metamorfosi – Di forme mutate”, del Teatro del Lemming, la compagnia che proprio nell’unicità dei propri spettatori ha voluto porre il nucleo fondativo dei propri processi di ricerca.

Dopo aver indossato una veste bianca, a piedi nudi, si entra nel buio del Teatro Studio di Rovigo, dove soltanto poche candele creano una disposizione circolare nella quale ognuno è pronto a ricevere sguardi singoli e personalissimi da un solo attore per volta.
E’ proprio qui che l’ambizione del Lemming di arrivare al silenzio di uno sguardo, o al fuoco vivo di un incontro condiviso, si compie; e lo fa molto presto, da quella sorta di rituale che al centro del cerchio viene portato avanti, spaccando un’anguria su un telo bianchissimo: ne escono i movimenti degli attori e delle attrici, poi subito pronti a compiere richiami gestuali davanti ad ogni spettatore, a metà tra esoterismo e seduzione: una richiesta di vicinanza che mai come oggi può commuovere e farsi sentire nella sua necessità tragica.

Al di là delle molte frammentarie epifanie del cuore, che sparpagliatamente si incontrano nelle mille particolari interazioni a due metri di distanza, faccia a faccia, con ognuno degli attori, rimangono impresse alcune immagini ed alcune parole parlate del lavoro, che ne consolidano, poi, anche il carattere strutturale: tra queste, una grande madre, di cui si annuncia la morte, posta sopra il lascito del rito poco sopra evocato, mostrata in tutta la sua prosperosa nudità, con tutti i caratteri di una vera e propria Venere di Willendorf, brutalmente calata nelle tramature oscure dell’età contemporanea; ma anche una essenziale eco conclusiva, prima che l’ultima candela si spenga in mano ad un attore-minotauro che si allontana sul fondo della scena, riflettendo su queste parole: “Non potrai invecchiare se conoscerai te stesso”.

Imperfetti più che mai ci si sente quando, a tu per tu con uno degli attori, si è invitati a scegliere con quale mano si dovrà far sì che un immaginario Fetonte guidi il suo cocchio, sentendo, subito dopo, della sua morte, dovuta alla mancata capacità di governare proprio quelle stesse mani e gesti.
Un senso di colpa, insolvibile, che ci si porta dietro e si aggiunge poi all’emozione spiazzante che si percepisce quando, in modo perfettamente speculare, uno degli attori imita la posizione in cui casualmente ci si è soffermati assistendo alla sua performance, in presa diretta: è proprio lì che avviene l’epifania di tutto lo spettacolo, un momento nel quale – caricaturalmente – si è imitati, e che non manca di rendere palese ed evidente – anzi, quasi invadente – la propria imperfezione, quella imperfezione da spettatori sempre in posa che si lasciano scoprire, improvvisamente, nel pieno accadere di un evento teatrale che ci vorrebbe più prossimi di quanto non si riesca ad essere.

Un lavoro, questo “Metamorfosi – Di forme mutate”, ripensato a partire da un altro labirintico spettacolo pronto poco prima della pandemia (“Metamorfosi – nel labirinto della memoria”), ma ora impossibile da portare in scena.
Il Teatro del Lemming non ha potuto non constatare quanto siano gravose le regole per tornare in scena, per la riapertura dei teatri, ma non si è arreso, riuscendo nella creazione di un lavoro autenticamente capace di essere, al contempo, accadimento teatrale a tutti gli effetti e piena nostalgia per esso.

La performance arriva in Sardegna sabato 8 e domenica 9 agosto, a Jorzu (OG), nell’ambito del Festival dei Tacchi (prenotazione obbligatoria cell. 328 255 3721).

METAMORFOSI di forme mutate
liberamente ispirato alle Metamorfosi di Ovidio
drammaturgia, musica e regia Massimo Munaro
Teatro del Lemming

durata: 30′
senza applausi

Visto a Rovigo, Teatro Studio, il 18 luglio 2020

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