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Metti il Sogno di Shakespeare a Kuala Lumpur

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Te lo dicono tutti: “This place is huge!”, ma nulla può prepararti alle reali dimensioni di Kuala Lumpur. Vivere qui è un po’ come vivere in una gigantesca scatola del Monopoli. Sposti le macchinine dal tuo smartphone via Grab, e la piccola valuta locale finisce veloce. Non fa eccezione questa esperienza.

Il Kuala Lumpur Performing arts center è indicato dalla rivista “Time Out” come uno dei dieci ‘must see’ nella megalopoli malese. Ex magazzino ferroviario, e una lunga storia di abbandoni e recuperi, l’edificio viene riconvertito impeccabilmente a partire dal 1995, e ospita al momento due sale e nove sale prova.

Faridah Merican e Joe Hasham hanno iniziato da allora ad abitare lo spazio, dando vita al primo teatro a gestione privata in Malesia: The Actor’s Studio@Plaza Putra. E in dieci anni hanno moltiplicato l’offerta culturale insieme ad alcuni partner locali. Laboratori, spettacoli, piccola biblioteca, conferenze, arteterapia, orchestra.

L’esperienza architettonica vale una visita. L’attuale cartellone e le sue tre proposte shakesperiane ancora di più. L’occasione è un (molto libero) adattamento del “Sogno di una notte di mezza estate” in kelantanese con qualche sfumatura in malay-English. “Mak Yong Titis Sakti” non è uno spettacolo nuovo: il debutto risale al 2009 e, già inserito nell’Asian Intercultural Shakespeare Archive, ritorna come un classico per il pubblico locale.

Norzizi Zulkifli, donna, musulmana, ex attrice televisiva, vincitrice di numerosi premi, porta nella sua regia alcuni topoi culturali che vale la pena di raccontare.
Danza tipica in questo frammento di terra, la ‘mak yong’ sembra essere esemplare metafora di una collocazione geografica che tiene insieme India e Indonesia. E nulla inizia ad accadere sul palcoscenico prima di una reale benedizione.

Elementi rituali ne fondano la storia, il passaggio nel mondo abitato da soli spiriti che assomiglia molto allo ‘spazio verde’ immaginato da Shakespeare. Specialmente in questo plot. Le mani delle danzatrici, con funzione di coro, si inarcano in una postura particolarmente faticosa, forse per orientare l’ingresso in questa dimensione altra.

Titis Sakti è un personaggio delle favole, un po’ fata e un po’ fiore, qui trasformato in lieve e silenziosa attrice delle varie maldestre magie previste dall’originale. Il cast interamente femminile, tranne per la versione malay-comedy di Puck, che qui non è uno ma due, lavora bene. La prima parte non è facile: completamente affidata all’improvvisazione, risulta comunque divertente per le reazioni esilaranti del pubblico.

Il re delle fate, interpretato da una donna in abito argenteo illuminato da luce rossa, ordina ai due servitori di intervenire sulle sventurate ospiti della foresta incantata. E alcuni frammenti parzialmente comprensibili sembrano alludere ad alcune abitudini maniacali dei malesi, in particolare l’uso quasi patologico dello smartphone. Più che in altre parti del mondo.

La più evidente mancanza è quella del ‘sogno degli artigiani’. La regista non sembra molto interessata ad un’esplorazione intellettuale alla maniera europea. Intrattenere sembra essere il principale obiettivo della performance, tutta estetica e poca ermeneutica. Un mondo teatrale che compone i registri della danza e della parola in maniera esotica per chi è abituato, come noi, ad altro.

La seconda parte è la più shakespeariana e, per noi, comprensibile. La luce ridiventa verde. E la triplice natura di amore che interessa alla regista (l’amore perfetto, l’amore proibito – con un padre molto poco fortunato che insegue la figlia armato di lanterna – , e l’amore non ricambiato) si manifestano con intermezzi quasi danzati nella forma di querelle e piagnucolose lamentazioni.

Il risultato finale è un musical che è anche fenomeno terapeutico, specialmente per le donne locali, quelle con il velo, ma anche per le altre, magari expats come me che hanno scelto la Malesia per indagare i misteri dei tre amori di cui sopra. Farlo alla fine del mondo, lost in translation, diventa quasi una preghiera. E ricevo con gratitudine le benedizioni finali che, nella luce bianca, ringraziano gli spiriti del teatro.

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