Ci sono spettacoli difficili da restituire al lettore perché non si rivolgono alla ragione, bensì a quella parte più viscerale di noi che sente e non può razionalmente spiegare.
In questi casi non si può far altro che restituire un’immagine parziale delle suggestioni provate, come un pugno nello stomaco, sforzandosi di far intuire qualcosa di difficile da raccontare, poiché più adatto ad essere vissuto in quello spazio ‘altro’ che è il teatro. Un teatro che davvero si fa rituale, dove la comunità formata da pubblico e artista si unisce per ‘officiare’ qualcosa di unico.
Ci sembra questo il caso del “Riccardo III” di Michele Sinisi, riscrittura visionaria e personale del monologo iniziale del “Riccardo III” di Shakespeare, andato in scena al Teatro dell’Orologio di Roma a novembre.
Un tavolo di metallo freddo, da obitorio, uno spruzzino per lavare via il sangue, l’asta di un microfono, un pallone da spiaggia, cuffie da hipster per sentir la musica e poche facce sparse per la sala: è questa la scena in cui s’inserisce il monologo di Michele Sinisi, che entra camminando con deformità rabbiosa guardando il pubblico dritto negli occhi. Da qui lo trascinerà senza tregua dentro le ferite, fisiche e dell’anima, di Riccardo.
Si comicia dal qui e ora – “Now”: ora che il regno di York è in mano al fratello Edoardo IV, ma anche l’hic et nunc di assistere alla performance. E’ così che Sinisi gioca sul piano metateatrale, perché il suo intento non è quello di raccontare una storia, ma di svelare i tentativi di raccontarla, il fallimento intrinseco e i meccanismi che ci sono dietro.
Il monologo ha quindi un andamento spezzato e procede a tentoni: le parole shakespeariane – lasciate in lingua originale per conservare l’originale densità di significato – sono scomposte, reiterate, tornano su se stesse perché faticano a trovare le successive; e vengono scritte e cancellate su quel tavolo di metallo su cui Sinisi sale e scende continuamente.
Tutto sembra avere un andamento vorticoso; il linguaggio diventa un circolo vizioso che rinchiude Sinisi in una gabbia e l’unico modo per liberarsi è farle esplodere sempre con più forza.
“It is true, not false”, altro leitmotiv dello spettacolo, conduce diritti al paradosso del teatro: l’arte che è portatrice di verità proprio per il fatto di essere finzione, una finzione come le scritte insanguinate di spray rosso, o la sagoma di Lady Anne disegnata sulla lavagna, eppure verità come il telefono che si sente squillare in scena e rende indistinguibili i due piani.
Così il monologo prosegue tra suoni metallici e detonazioni improvvise, urla furiose e camminate schizofreniche. Sinisi, con quell’urgenza che lo porta non a recitare ma ad ‘essere’ in scena, a vivere e far vivere il suo monologo con una potenza viscerale, cerca di dare un’umanità al personaggio che è l’anti-eroe per eccellenza: per lui Riccardo è prima di tutto un uomo che non ha ricevuto dalla natura il dono della bellezza e a cui è precluso il balsamo della felicità, che rispecchia fisicamente le ferite dell’anima.
Shakespeare sparisce dalla scena, non perché non sia presente, ma perché Sinisi lo fa penetrare nelle pieghe del testo, rendendo Riccardo l’icona universale del reietto, del barbone – come suggeriscono i vestiti -, dell’emarginato che vive in un mondo senza alcuna pietà per il ‘diverso’, dove tutti sono ‘the one against the other’.
Sta forse parlando di noi?
RICCARDO III
da William Shakespeare
di e con Michele Sinisi
collaborazione alla scrittura scenica Francesco Asselta e Michele Santeramo
direzione tecnica Alessandro Grasso
produzione Fondazione Pontedera Teatro e Teatro Minimo
Visto a Roma, Teatro dell’Orologio, il 23 novembre 2014