Due, fra tante, erano in particolare le ragioni per assistere, al Teatro Gobetti di Torino, a “Misery”. Innanzitutto quella di poter vedere il risultato della trasposizione teatrale del famoso romanzo di Stephen King, già riproposto in un film di grande successo come “Misery non deve morire”, un horror psicologico del 1990 diretto da Rob Reiner; l’altro motivo era vedere in scena, accanto a Filippo Dini, qui non solo regista ma anche interprete, un’attrice dal grande temperamento come Arianna Scommegna, nel ruolo che fu della meravigliosa e inquietante Kate Bates.
E l’attesa non è andata per niente delusa, considerate anche le evidenti differenze dei registri usati dai due media, che vedono il cinema in (apparente) netta superiorità sul teatro per mezzi e possibilità di condivisione che possiede.
Filippo Dini mette in scena il racconto di King basandosi sulla sceneggiatura di William Goldman, lasciando intatto tutto lo snodo intrigante degli avvenimenti, ma soffermandosi di più sulle implicazioni profonde che la storia suggerisce, e a cui il film, in qualche modo, aveva solo accennato, per dar sfogo soprattutto agli aspetti più coinvolgenti che i fatti raccontano.
La vicenda narrata, come è noto, è quella dello scrittore Paul Scheldon che, a causa di un incidente, viene soccorso e raccolto in casa da Annie Wilkes, una fanatica infermiera ammiratrice dei suoi romanzi, ed in particolare quelli che hanno come protagonista Misery, un personaggio che, con grande disappunto della donna, il romanziere ha deciso di far morire nella sua ultima storia.
Annie, visibilmente sociopatica, decide allora di tenerlo prigioniero, infliggendogli continue angustie, e promettendogli la libertà soltanto dopo che Paul avesse scritto un nuovo capitolo della saga, lasciando in vita la tanto amata eroina.
Già dalle invenzioni scenografiche intuiamo le scelte operate da Dini nel raccontarci la storia. La scenografia rotante di Laura Benzi ci mostra infatti, nel succedersi degli eventi, in modo distorto e sghembo ma assolutamente realistico, la piccola stanza dove Annie tiene prigioniero Paul, il corridoio e la misera cucina della casa, ma anche il suo esterno, dove la donna, impaurita per l’eventualità di essere scoperta, dialoga con il commissario, venuto in cerca del romanziere, e che poi ucciderà. Così anche la narrazione teatrale rimane sì realistica, ma si imbeve di una sorta di sottile espressionismo che fa apparire normali anche le più indicibili efferatezze: martellate, colpi di pistola, motosega e il copioso sangue versato.
Ogni elemento risulta curatissimo, in tutti i suoi aspetti, nel narrarci una storia dai contorni inquietanti; al contempo si fa amare perché offre allo spettatore un’intelligente e profonda riflessione sull’atto creativo, dove Annie non è altro che il contraltare di Paul. E non per niente, nell’atmosfera piena di apprensione e di trepidazione che si irradia dalla stanza di Scheldon, gli unici momenti di gioia sono proprio quelli che vedono l’infermiera e lo scrittore immaginare un nuovo corso della storia, avvalorando la tesi che Misery realmente non debba morire, perché è proprio questo che rende lo scrittore ciò che è: eterno e consapevole, meraviglioso nella sua solitudine, nel proprio atto creativo. Nel contempo lo stesso atto creativo è proposto da Dini / Scheldon nel talk show finale, che lo vede in tv, trionfante, dopo la terribile avventura passata, raccontata come una sorta di tirannia di cui però non si può fare a meno, quando si opera nell’arte.
Meravigliosi i due interpreti principali, che insieme a Carlo Orlando riempiono la scena. Arianna Scommegna non copia pedissequamente il suo omologo cinematografico, ma impasta il proprio personaggio di elementi contraddittori che cambiano in modo credibilmente repentino, riconsegnandoci in modo fedele, mai falso, tutta la follia di Annie, e riuscendo ad essere ora infantilmente dolce, ora sadicamente crudele.
Filippo Dini non è da meno, vittima di una follia che vorrebbe essere salvifica, ma anche tenace e con una punta di sarcasmo nel voler uscire da una situazione davvero imbarazzante.
“Misery” si configura dunque come un raffinato spettacolo popolare, nel vero senso del termine, ma anche denso di riflessioni sul tema dell’artista e del compito a lui attribuito per farci sentire meno infelici.
Lo spettacolo sarà in tournée a gennaio a Meldola, Faenza, Monfalcone, Ancona e Catania.
MISERY
di William Goldman
tratto dal romanzo di Stephen King
traduzione Francesco Bianchi
con Arianna Scommegna, Filippo Dini, Carlo Orlando
regia Filippo Dini
scene e costumi Laura Benzi
luci Pasquale Mari
musiche Arturo Annecchino
assistente alla regia Carlo Orlando
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Due, Teatro Nazionale di Genova
Visto a Torino, Teatro Gobetti, il 14 dicembre 2019