Il Moby Dick di Losi: la banalità del male

Photo: Luca Meola
Photo: Luca Meola

È un trionfo di grigio-petrolio la scena costruita da Michele Losi per “Moby Dick”, lo spettacolo che ha fatto tappa al Menotti di Milano reduce da una tournée triennale che ha condotto la compagnia Pleiadi in giro per il Mediterraneo, tra campi profughi e storie di esodi.

Pellicole di plasma filtrano una luce cangiante. Proiettano sullo sfondo amorfi simulacri di mare. È una notte boreale, illuminata da una luna fioca. Gioco di specchi: il fondale si anima di nuvole e fumi avvolgenti, esalazioni alate e infiorescenze luminose.
Geometrie di stelle orientano l’odissea della baleniera Pequod. Il nitore di montagne di ghiaccio è il preludio alla balena bianca. Che però sembra non materializzarsi mai, gigantesca come l’iceberg su cui naufragò il Titanic.

Un equipaggio stralunato protetto da cerate scure galleggia sul palcoscenico. Note puntiformi al pianoforte avviano la storia. Sul pontile bituminoso, una decina di barili. La scena è smontata e rimontata come un Lego.
Gli attori Mariasofia Alleva, Andreapietro Anselmi, Lucia Donadio, Lucio de Francesco, Carolina Leporatti sono figure allucinate sferzate dal vento e dalla notte gelida. Sono reietti della terraferma che recitano più con il corpo che con la voce. Luci violacee percuotono i volti in trance, le schiene curve, le mani protese come preghiere. Sono personaggi biechi e grotteschi. A tratti le smorfie esplodono in allegria: è il delirante, effimero abbandono alla festa, dopo gli agguati alle balene.
Rumori metallici creano un sottofondo alienante. La coralità delle scene non disperde la solitudine: è una sequenza d’attese senza riposo. La scelta dei brani tra i più filosofici e psicologici del romanzo di Melville ordisce una trama surreale che unisce Giona a Nietzsche passando per Ulisse e Dante.

Moby Dick non compare. L’attesa ne alimenta il potere terrifico. Anche il capitano Achab arriva in scena tardi, mediante video intermittenti. Il maltese Joseph Scicluna che lo interpreta, morto da un anno e a cui la compagnia dedica lo spettacolo, qui è un’apparizione. Diversamente dal romanzo di Melville, diversamente anche dalla trasposizione cinematografica di John Huston con la potente interpretazione di Gregory Peck, questo Achab non è personaggio sulfureo, ma un bonaccione placido che racchiude la banalità del male senza accenti mefistofelici.

«Leggete quest’opera tenendo a mente la Bibbia e vedrete come quello che vi potrebbe anche parere un curioso romanzo d’avventure, un poco lungo a dire il vero e un poco oscuro, vi si svelerà invece per un vero e proprio poema sacro cui non sono mancati né il cielo né la terra a por mano». Cesare Pavese aveva colto la ieraticità di “Moby Dick” nonostante si manifestasse in forme criptiche.

Protagonista della storia è la “hybris”, la tracotanza che reca al protagonista deliri d’onnipotenza e lo porta a ribellarsi contro l’ordine costituito. Achab perde l’anima, sé stesso e l’equipaggio.

La forza di quest’allestimento di Losi sta nella coralità delle scene, nella coesione degli attori, nell’evocativo disegno delle luci orchestrato da Andrea Violato.
Diego Dioguardi crea un paesaggio sonoro intrigante mediante il mix elettronico di strumenti (dal violoncello ai tamburi Taiko) che uniscono tradizione occidentale e orientale, a richiamare l’equipaggio composito del Pequod.
Gli attori (brava Alleva nei panni del narratore interno Ismaele) restano sempre sul palco, ostaggi di un mostro e di un uomo animato dalla vendetta. Ciascuno non fa che oscillare tra un presente inerte e un immaginario distruttivo, su cui si poserà, come un sudario, il silenzio dell’oceano.

MOBY DICK
ispirato al testo di Herman Melville
regia Michele Losi
drammaturgia Riccardo Calabrò, Mariasofia Alleva, Michele Losi
cura del movimento scenico Caterina Poggesi
con in ordine alfabetico Mariasofia Alleva, Andreapietro Anselmi, Lucia Donadio, Lucio de Francesco, Carolina Leporatti, Joseph Scicluna
musiche originali Cristina Abati, Chiara Codetta, Tobia Galimberti
scene Marialuisa Bafunno, Michele Losi, Anna Turina
costumi Stefania Coretti, Maria Barbara De Marco
sound design Diego Dioguardi
light design Andrea Violato
proiezioni video Alberto Sansone
organizzazione Giulia Mereghetti
promozione Giulia di Cio
ufficio stampa Maddalena Peluso
produzione Pleiadi Art Productions, Campsirago Residenza teatrale

durata: 1h 30’

Visto a Milano, Teatro Menotti, il 13 novembre 2017

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