Torniamo oggi al Rossini Opera Festival, dove quest’estate è stata messa in scena “Moïse et Pharaon ou Le Passage de la mer Rouge”, composta dal genio pesarese in quattro atti, rappresentata per la prima volta il 26 marzo 1827 all’Opéra di Parigi.
L’opera è, in parte, un rifacimento del “Mosè in Egitto” di nove anni prima, con aggiunte al libretto originale eseguite da Luigi Balocchi e Victor Joseph Etienne de Jouy, che ne rielaborarono anche la scansione metrica e drammaturgica con nuove azioni coreografiche, fecendola diventare a tutti gli effetti, come richiedeva il nuovo status di Rossini, emigrato in Francia, una grand-opéra, cosa che avvenne anche più tardi con il “Guglielmo Tell”.
Rossini poi, con la sola eccezione di Mosè e del Faraone, cambiò tutti i nomi dei personaggi, riutilizzando soltanto sette “numeri” dell’opera precedente, dopo averli completamente ripensati, aggiungendovi anche un coro tratto da “Armida”.
Ne scaturì dunque un’opera assolutamente nuova, con modifiche anche alla trama originale.
E’ stato quindi un piacere gustarla appieno dopo aver visto il Mosè al Teatro alla Scala molti anni fa. Il festival è stato dedicato quest’anno alla memoria del grande regista inglese Graham Vick, di recente scomparso, che qui a Pesaro ha firmato allestimenti memorabili, tra cui questo capolavoro nel 1997, un grande artista che anche abbiamo avuto la fortuna di conoscere personalmente.
L’opera vive e si sviluppa nel contesto della schiavitù degli ebrei da parte degli egizi, di cui si seguono gli aneliti alla libertà e al raggiungimento della Terra Promessa, sotto la guida di Moïse, in stretto rapporto con Dio, che lo aiuta con i suoi prodigi, e del fratello Eliézer.
In questo contesto assistiamo anche all’impossibile amore di Anaï (figlia di Marie e nipote di Moïse) per Aménophis, figlio di Pharaon. Aménophis, deciso a non abbandonare la sua amata, non vorrebbe lasciarla e revoca l’ordine del padre, che intendeva liberare il popolo ebreo e cerca di far imprigionare Moïse. Il ragazzo però viene fermato da Pharaon, il quale tuttavia ritorna sui suoi passi, decidendo che gli ebrei rimarranno prigionieri, suscitando così le ire di Moïse, che chiede a Dio di mandare fuoco e fiamme che si trasformano in una fitta nebbia sull’Egitto. La nebbia si dissolve quando ancora il Faraone concede al profeta il permesso di fuggire.
Aménophis è quindi, nuovamente, doppiamente in ambasce (che rivela alla madre Sinaide, la quale vorrebbe che il figlio rinunciasse a Anaï per amor e devozione alla patria): non solo Anaï dovrebbe partire, ma in più il padre gli impone le nozze con la principessa d’Assiria. Ma, prima di lasciarli fuggire, il Faraone ordina agli ebrei di rendere omaggio al simulacro di Iside, ma loro, ovviamente sdegnati, rifiutano l’imposizione.
Dopo altri funesti segni lanciati da Dio per volere di Moisè, Pharaon ordina di portare gli ebrei in catene fuori da Menfi. E’ qui che interviene ancora Aménophis, che promette di aiutarli a fuggire se potrà avere la mano di Anaï; Moïse dal canto suo mette la nipote di fronte a una scelta: o l’amore per il figlio del Faraone o la fedeltà al suo Dio. Anaï è così definitivamente costretta a rinunciare ad Aménophis, che si allontana pieno di rancore.
Gli ebrei si fermano a pregare. Ed è qui che vi è il momento più famoso e struggente dell’opera, uno dei passaggi più alti dell’intero repertorio operistico, il coro “Des cieux où tu résides” (Dal tuo stellato soglio).
L’opera termina con Moïse che apre le acque del mare, favorendo la fuga del suo popolo, mentre Pharaon, Aménophis (che nell’opera precedente moriva fulminato da Dio) e gli egiziani vengono travolti dalle onde.
Siamo nel 1827, e Rossini ormai padroneggia la musica a suo piacimento in un’opera in cui arie, cori e scene d’insieme sono tutt’uno in un compendio musicale sempre di squisita fattura.
Come si evince anche dalla trama è il coro a farla da padrone, profondendole quasi la forma dell’Oratorio: è infatti tutto il popolo ebreo ad essere protagonista, di cui Mosè si fa portavoce, in contrapposizione alla presenza degli egizi, funestati dalla collera di Dio (Dieu puissant… Jour de gloire… Désastre affreux!.. Reine des cieux).
Di grande rilevanza anche “la cantique” finale (Chantons, bénisson le Seigneur).
La figura di Pharaon vive attraverso la sua titubanza e nel rapporto con lo sfortunato figlio, innamorato fieramente deluso. Molto bella la figura della moglie Sinaide, a cui Rossini dedica una melanconica e bellissima scena. Un poco defilato, nonostante tutto, è invece il personaggio di Anaï.
Per quanto riguarda la regia, questa volta il novantenne Pier Luigi Pizzi non ci ha entusiasmato più di tanto, presentando un allestimento spesso convenzionale, con la scena divisa in due blocchi, dedicati a posizionare i diversi cori, il più delle volte con la divisione dei maschi da una parte e le femmine dall’altra, impegnati in gesti che sempre ti aspetteresti, a volte senza correlazione con gli avvenimenti proposti e con il fondale che si alza e si abbassa.
Uniche invenzioni in qualche modo rimarchevoli sono, all’inizio del secondo atto, gli egizi che cantano melanconicamente la disperazione per le tenebre inviate loro dal Dio degli ebrei, inondati da una luce bluastra (sempre consone e suggestive le luci di Massimo Gasparon), con le proiezioni di nubi che la musica rossiniana riesce a definire magnificamente, e l’arrivo di un bambino che, soprattutto alla fine dell’opera, dà un messaggio di forte speranza.
I finali d’atto vedono poi sempre i personaggi posizionarsi sulla passerella davanti all’orchestra.
Insignificanti le coreografie ballabili di Gheorghe Iancu del primo atto, fuori contesto quelle del terzo, pur con i bravissimi Maria Celeste Losa e Gioacchino Starace, ma dobbiamo anche dire che il nostro Gioachino non si è speso al meglio qui nelle musiche.
A corrente alternata, almeno per nostro gusto, le proiezioni: belle le tenebre, i lapilli, meno ci è piaciuta la piramide che si spezza e soprattutto la divisione del Mar Rosso, che poteva essere resa con maggior fantasmagoria.
Buona in generale la qualità delle voci; su tutte ci è piaciuta tra le donne Vasilisa Berzhanskaya che ha eseguito la sua grande aria “Ah! D’une tendre mère” in modo memorabile, ricevendo un tripudio di applausi; e bene anche l’Anaï di Eleonora Buratto, che avevamo già apprezzato in un’opera così diversa come il “Così fan tutte”, che qui supera coraggiosamente le difficoltà insite nella grande aria del quarto atto “Quelle horrible destinéè!”.
Tra gli uomini di grande eccellenza il Moïse di Roberto Tagliavini, non solo per il suo canto ma per l’evidente nobiltà che esprime sempre nel suo personaggio. Altro cantante che abbiamo sempre apprezzato, e qui si è ripetuto, è stato Erwin Schrott come Pharaon, mentre abbiamo gradito a fasi alterne il tenore Andrew Owens come Aménophis.
Buona ci è parsa anche la direzione di Giacomo Sagripanti, che si è fatto apprezzare alla guida dell’eccellente Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai in un’opera così complessa da eseguire.
Infine ma non ultimo, ci rimane da elogiare il Coro del Teatro Ventidio Basso, ben coordinato da Giovanni Farina, che in quest’opera, come detto, ha una parte di assoluta rilevanza.
Per l’anno prossimo sono attesi al R.O.F., tra gli altri lavori in programma, l’amatissimo “Comte Ory” e “Otello”, con quel suo terzo atto di bellezza smagliante e anticipatrice. Non vediamo l’ora…
Moïse et Pharaon
Opéra en quatre actes di Luigi Balochi e Étienne de Jouy
Musica di Gioachino Rossini
Edizione Casa Ricordi
Direttore GIACOMO SAGRIPANTI
Regia, Scene e Costumi PIER LUIGI PIZZI
Regista collaboratore e Luci MASSIMO GASPARON
Coreografie GHEORGHE IANCU
Interpreti
Moïse ROBERTO TAGLIAVINI
Pharaon ERWIN SCHROTT
Aménophis ANDREW OWENS
Éliézer ALEXEY TATARINTSEV
Osiride / Voix mystérieuse NICOLÒ DONINI
Aufide MATTEO ROMA
Sinaïde VASILISA BERZHANSKAYA
Anaï ELEONORA BURATTO
Marie MONICA BACELLI
CORO DEL TEATRO VENTIDIO BASSO
Maestro del Coro GIOVANNI FARINA
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
Nuova produzione
durata: 3h 55′
Visto a Pesaro, Vitfrigo Arena, il 19 agosto 2021