Monopoli di Stato

costanzo
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photo: noantri.net
A volte ci si ferma a riflettere. Ci si mette in discussione, si tenta di capire dove si sbaglia e quali potrebbero essere le alternative per riuscire ad andare avanti. Magari si fanno pure dei passi indietro.
Altre volte ci si contorce, disgustati da quanto ci passa davanti, o di fianco, in maniera più o meno spocchiosa.
Ci sono poi, ancora, altre giornate in cui, aperti i giornali, ti poni tante, troppe, domande.
Proprio in uno di questi giorni balza fuori la notizia, riportata da “Il Giornale” la settimana scorsa, della richiesta a Maurizio Costanzo da parte del ministro della Cultura Sandro Bondi di diventare “consigliere per il teatro, l’arte povera e le tradizioni”, così come previsto dal neo-decreto firmato dallo stesso ministro.

Orbene, vuoi mica che il signor Costanzo, già sommerso di lavoro, potere ed opportunità, si lasci sfuggire una simile occasione? Per di più gli è stato gentilmente proposto durante un pranzo, e con la clausola che lui possa esprimere il suo parere anche sull’arte povera e le tradizioni dialettali.
Il tutto, s’intende, a titolo gratuito. Non sia mai che ci guadagni, che tanto non ne ha certo bisogno.
Segue, sul Giornale, l’intervista a Costanzo, che si prodiga a spiegare come occorra smettere di considerare la cultura un luogo elitario, popolato solo da vecchi snob. Ben detto. Ma… qualcosa ancora mi provoca dei fremiti.

Signor Costanzo, lei – soprattutto in passato – di teatro si è certo occupato, ma ora probabilmente non è tra le sue occupazioni giornaliere principali (e non stiamo ad arrampicarci sui vetri). Perché, dunque, con tutto quel che già fa (trasmissioni televisive, libri, rubriche sui giornali, in radio e chi più ne ha più ne metta) non sceglie di fare un passo indietro e lasciare il posto a qualcun altro?
Si definisce uomo di comunicazione, e come non darle ragione, ma mi permetta di sostenere che, tra cultura e comunicazione, delle differenze esistano. E andrebbero mantenute.

Il monopolio di sale e tabacchi ha fatto la sua epoca: occorre proprio far sì che un teatro diverso, meno urlato e più di qualità, venga venduto sottobanco e di nascosto agli angoli delle strade? Platinette, Lillo e Greg, Biagio Izzo, Emanuela Aureli… sono i nomi che compaiono nei cartelloni dei “suoi” teatri, così come nelle sue trasmissioni. Non sarebbe più necessario ora, in Italia, fare emergere e dar spazio a voci diverse che sperimentino altro?

Progredisce, invece, la strada dell’omologazione culturale, va avanti e travolge tutto, come già il passato ha insegnato. Atterriti la osserviamo (come davanti alla tv?), impotenti – ahinoi – d’intervenire. E questo è il fatto grave. Ma almeno liberi nel dir la nostra.
 

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