Il gioco di Enzo Moscato tra le doglianze degli attori a maschera

Le doglianze degli attori a maschera
Le doglianze degli attori a maschera

Per il 2007, anno del trecentesimo anniversario dalla nascita di Carlo Goldoni, Maurizio Scaparro, direttore della sezione Teatro della Biennale di Venezia, chiede a vari artisti la riscrittura di un’opera goldoniana a loro scelta.
Enzo Moscato, come è nella sua natura di autore, si rivolge ad una commedia di Goldoni poco conosciuta e poco frequentata: “Il Molière”, scritta nel 1751, nella quale l’autore veneziano intende rendere un divertito omaggio al ‘maestro’, cogliendolo nei problemi professionali derivanti dalle critiche e dalla censura al “Tartufo” e nei dilemmi privati derivanti dal ‘ménage à trois’ con la Béjart e la di lei presunta giovane figlia, poi rivelatasi sorella.

Nell’accostarsi di Goldoni a Molière, Moscato spera finalmente di trovare un pertugio che conduca al lato oscuro, al ‘grumo di sangue nero’, del drammaturgo italiano.
Nella sua “trad-invenzione” del testo, quindi, costruisce lo spettacolo destrutturando la commedia, dissacrando i suoi stilemi, forzando sui ritmi dei versi martelliani che ben si prestano a giochi di rime baciate e litanie liturgiche.

L’aulicità del linguaggio poetico è inquinata e arricchita da un miscuglio di dialetti e lingue, che va dal veneto al napoletano, dal romagnolo ai francesismi fino a divertiti inserti di canzonette contemporanee.
Giochi di parole, contaminazioni, imbastardimenti e accumulazioni lasciano lo spettatore disorientato rispetto ad un teatro che non si aspetta e che non c’è più. Ma proprio qui nasce la poesia dolce e amara del teatro che riflette filosoficamente su se stesso attraverso la scrittura, riscrittura e tradimento di tre autori, uno rispetto all’altro: Goldoni rispetto a Molière, Moscato rispetto a Goldoni, gli attori rispetto a Moscato.
Ulteriore elemento che ha attratto l’artista napoletano è stata la quasi totale assenza di didascalie del testo goldoniano e la totale libertà, quindi, di reinvenzione dei personaggi. Gli attori si lagnano per la maschera perduta, ma sono ormai maschera essi stessi.
Moscato getta la sua riscrittura in pasto ai propri guitti, liberi a loro volta di riscrivere quello che vogliono.
Lo spettacolo spiazza.

E’ una commedia esplosa, della quale gli attori raccolgono i pezzi rimasti e li assemblano  in una tinozza colma d’acqua, in cui la stessa commedia finirà per annegare. Difficile prendere ritmo, perché il ritmo è continuamente rotto in questo gioco metateatrale, perché la commedia è già morta e, pur rabberciata, finisce in tragedia: dove, però, nessuno piange.  E’ straniamento, rottura di schemi.
La scena per la vita e la vita per la scena. Questo il senso della riscrittura e del gioco.
E poiché per Moscato “il teatro è solo assenza”, qui è la commedia a latitare, tra le doglianze degli attori orfani della propria parte.
La compagnia è composta di ottimi elementi, tra i quali spicca la brava Lalla Esposito.
Da vedere e lasciarsi catturare in un gioco dalle regole sconosciute, ma non per questo meno affascinante.

LE DOGLIANZE DEGLI ATTORI A MASCHERA
libero omaggio a Carlo Goldoni, ispirato al suo ‘Molière’ del 1751
testo e regia: Enzo Moscato
scene: Paolo Petti
costumi: Tata Barbalato
musiche: Donamos
luci: Cesare Accetta
con: Tata Barbalato, Valentina Capone, Salvatore Chiantone, Cristina Donadio, Lalla Esposito, Gino Grossi, Carlo Guitto, Enzo Moscato, Salvio Moscato, Mario Santella e con Francesco e Gianky Moscato, Giuseppe Affinito jr.

durata: 1 h 45′
applausi del pubblico: 3′ 20”

Visto a Pontasserchio (PI), Teatro Rossini, il 27 febbraio 2009

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