C’è tutta la poetica visionaria e maledetta del pittore e incisore norvegese Edvard Munch (1863-1944) nell’ultimo lavoro di Corrado Accordino. Che s’intitola appunto “Munch. Ritratto su carne”, e segna il ritorno al teatro contemporaneo del direttore artistico del Libero di Milano e del Binario 7 di Monza, dopo alcuni spettacoli riconducibili ad un genere più comico.
Questo monologo viscerale sviluppa intenzioni simboliste e drammaticamente allucinate, in un testo pervaso da un senso profondamente tragico della vita. Il linguaggio è intriso di venature espressioniste.
Alla scenografia che potremmo definire spazialista, giocata sul nero, sui tagli delle quinte, su linee trasversali o longitudinali, fanno da contrappunto tre sedie classiche. Ai margini laterali, due dipinti in miniatura, appena percettibili: qui l’arte è filigrana, riflesso labile rintanato. Che tuttavia aiuta a rivelare un uomo e la sua visione del mondo.
L’attore si presenta come una sorta di vampiro, avvolto da un ampio mantello nero. Il viso lattiginoso di biacca è solcato da rughe profonde. Un cappello cilindrico nasconde fluenti capelli arruffati.
In scena troviamo la vita dissoluta dell’autore dell’“Urlo”: i lutti, le perdite che scavarono un vuoto desolante nella sua esistenza; le relazioni passionali e burrascose, fatte di violenti litigi e riappacificazioni; l’assiduità con l’alcol e le esperienze bohémien; le idee anarchiche che lo condussero all’emarginazione. Sono evocati – anche con l’aiuto di voci fuoricampo – l’anticonformismo, le scelte borderline, la ribellione agli schemi borghesi. L’indagine dal mondo naturalistico si sposta sui fantasmi e sui precipizi dell’animo umano.
Parallelamente prendono forma, con gli stessi grumi di un dipinto su tela, gli ideali artistici di Munch, l’interesse all’onirico e al patologico, la divorante inclinazione al macabro e all’irrazionale, l’accentuazione – sul piano tecnico – riconosciuta alle linee e ai colori.
L’artista norvegese scorgeva il potere rivoluzionario dell’arte laddove essa violava la tradizione, preferendo ai valori i disvalori, contrapponendo al bello il brutto e il degradato, all’armonia la malattia del corpo e della mente.
Munch, poeta e veggente insonne, preda di ogni genere d’angoscia e ossessione, realizzava attraverso la pittura un’indagine sulla pazzia. Ecco perché Accordino carica il personaggio di tratti sinistri, quasi ripugnanti, esaltati dal colorito pallido del viso, dalle rughe come voragini, dagli occhi incavati, lividi, arrossati, mentre le orbite oculari sono due cerchi privi di colore e profondità. Il busto sembra muoversi ondulato. A malapena si mantiene in posizione eretta, quasi non avesse spina dorsale.
In questa sinestesia di fumo, grigio e vuoto, domina il buio, e ciò accresce l’inquietudine. L’oscurità labirintica dilagante si accende a volte di un rosso fumoso esplosivo, a volte di un verde opalescente. Una musica dark incalzante, animata da fragori sordi e interrotta da soluzioni classiche (Schubert, Sostakovic) accompagna un incedere affannato, mentre le mani, colpite da fasci di luce fredda, lasciano graffi sulla parete, aprono squarci, tracciano con unghie livide linee irrisolte.
“Munch” è un intenso monologo dove le parole inspessite grondano carne e sangue. Ogni gesto, ogni sguardo e respiro aderisce come un guanto alla drammaturgia, compone lo spirito di un uomo e di un artista. Quest’opera grida il bisogno d’arte liberatoria. L’urgenza di luce accompagna, in un climax recitativo e performativo, i moti più nascosti di un’anima lacerata.
Accordino, poliedrico e avvincente, non spiega Munch: ci offre labili indizi per entrare nei suoi tormenti, nelle inafferrabili allucinazioni di un’epoca che, tra guerre e orrori, aveva smarrito ogni certezza consolidata.
MUNCH. AUTORITRATTO SU CARNE
di e con Corrado Accordino
con la collaborazione artistica di Simona Bartolena
assistente alla regia Valentina Paiano
durata: 1h
applausi del pubblico: 3’ 05”
Visto a Milano, Teatro Libero, il 14 aprile 2018